Storie da tram
Francesca Piro
Anatomopatologa e fondatrice del salotto letterario "“La linea d’ombra”
Quei sogni che rischiano di finire tra le rotaie del tram
Non esiste una regola per sapere quali sono le regole. Ci sono, basta seguirle. Quelle del senso civico, per esempio. Non è che devi leggerle per sapere come ci si comporta nelle relazioni in questo mondo. Non è che devono spiegarti che la spazzatura non la lasci in giro. Non è che devi essere multato per sapere che se prendi il tram devi pagare il biglietto. Non è che devono dirtelo di abbassare il volume quando ascolti la musica dal cellulare senza le cuffiette e sei in mezzo alla gente. “Ma è tutto un devi…”, mi dici. Sì, lo è. E’ la regola della convivenza e del vivere civile. Devo occuparmi delle conseguenze delle mie azioni.
Ci ragiono sulla pensilina del tram, lo sguardo fisso sul cassone giallo degli abiti usati che incombe sul lato di piazza Buenos Aires davanti alla chiesa argentina, come un misterioso totem. Lo guardo e mi chiedo chi abbia avuto la geniale idea di metterlo lì. Che senso ha se non quello di deturpare quella parte della piazza? Spesso al mattino, lì intorno, vedo stracci e panni buttati in terra, lacerati, nel vano tentativo di qualcuno di tirarli fuori dal cassone che però – con un complesso meccanismo apri-chiudi – protegge il suo contenuto come un tesoro. E allora quel che se ne ricava sono soltanto lembi e parti di abiti strappati, inutilizzabili e pertanto subito abbandonati sulle panchine accanto. Come si può pensare che una piazza sia il luogo adatto per un raccoglitore color giallo pannocchia? Una piazza, la Buenos Aires, che poi non è neanche una piazza, in realtà un crocevia, un incrocio importante, ma che con i suoi tre chioschi sui lati ha già molto di una piazza in cui sostare a bere un lemoncocco, o a fare due chiacchiere tra i fiori o a leggere il giornale seduto accanto ai tassisti in sosta. Maydan, in arabo. Agorà, si dice in greco. Il luogo dove tutto accade, dove il mondo s’incontra, l’altrove che diventa lo spazio di ognuno. E allora cos’ha fatto di male questo lato di piazza da non meritare altro che un cassone raccogli-abiti usati?
Passo per quei marciapiedi almeno due volte al giorno, mattina e sera, e l’occhio va sempre nelle fioriere intorno al cassone e a quelle di fronte e sull’altro lato della strada. Sono piene di bicchieri di plastica, cartoni di pizza, spazzatura. Chi si ferma su quelle panchine per mangiare o bere una birra, si libera dei resti di cibo e dei contenitori lasciandoli nelle fioriere. Che cosa manca a chi agisce in questo modo? Il senso civico? L’educazione? La gentilezza d’animo? Cosa? Me lo chiedo ogni volta. Ci lamentiamo, protestiamo, scattiamo foto. Furenti ci rivolgiamo “a chi di dovere” per chiedere che s’intervenga, che si faccia qualcosa, che si risolva… Gli altri, che siano gli altri a fare qualcosa! Mica io, figurati se sporco, io! Io “ho tanti amici che comprano eco-sostenibile e faccio la differenziata tutti i giorni”, mi dici mentre sali sul tram e nel frattempo lanci sulla strada la cicca della sigaretta che stai fumando e questa rotola, rotola tra il marciapiede e le rotaie e resterà lì, per almeno 15 anni, perché il filtro non si disgrega, ma resiste e persiste, perché è fatto di acetato di cellulosa e di microparticelle di plastica, quelle stesse che sui giornali e in televisione scopriamo affliggere il mare. Le stesse. Uguali, identiche.
Sul tram Alexandra tace. La bimba chiacchierina che ci tiene sempre tutti svegli con le sue domande e le sue risate, tace. Sta leggendo. Poi chiude il libro e si appoggia allo schienale del sedile. In silenzio, sospira. I suoi occhi si muovono veloci e si posano rapidi sul mondo che la circonda. Sta sognando, forse immagina il proprio futuro, perché ad un tratto: “Mamma, perché non cambiamo casa? Io vorrei una casa più grandeee… Perché non andiamo in una casa più grande? Senti come la vorrei: vorrei che ci fosse un giardino…”
Alexandra sogna, sogna in grande e racconta il suo sogno, piccola bimba in un mondo che corre troppo veloce per i suoi piccoli passi. Siamo noi i responsabili dei suoi sogni, dovremmo averne cura e non buttarli nel crepaccio in cui abbiamo già precipitato i nostri. Noi, che il nemico ce lo portiamo dentro ogni giorno. Siamo noi con la nostra protervia, la nostra indifferenza a rendere brutto ciò che potrebbe essere Bellezza ogni giorno. Ci siamo abituati ormai, ma i bambini, per fortuna, ancora no.
Lasciamo che sognino e che sognino in grande, perché i sogni sono fatti per essere realizzati, altrimenti rimangono utopie che restano a marcire tra le rotaie di un tram.