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Storie da tram

Francesca Piro

Anatomopatologa e fondatrice del salotto letterario "“La linea d’ombra”

21 Novembre 2019

Quando la domenica a Parco Nemorense sa un po’ più di buono grazie a Barikamà

“Se sei a casa e ti va, ti chiedo una cosa: mi ha appena chiamato il tipo di Barikamà. È con gli altri al Parco Nemorense – fuori, perché il parco è chiuso – con tanta verdura… e sono un po’ demoralizzati. Ci riesci a fare un salto?”. Arriva così, alle 12 di una domenica buia e cupa di pioggia e maltempo, il messaggio di Cinzia. Lei proprio non ce la fa a non aiutare. Le scappa. Ovviamente se ha chiesto a me è perché lei non può, altrimenti mi avrebbe scritto “vieni, sono qua etc etc..”.

Guardo fuori, guardo i pantaloni della tuta che indosso, i calzettoni che fanno già inverno, riguardo fuori… piove a scrosci, c’è umidità e quelli sono lì, sotto l’acqua e non hanno neanche più il loro posto nel parco che è in manutenzione. Acchiappo al volo il carrello della spesa, mentre mi infilo le scarpe, il piumino, lego i capelli in un nodo ed esco. Il 92 sembra aspettarmi, un attimo e sono su, caracollando tra cigolii di freni e finestrini poco serrati nell’autobus vuoto, verso via Nemorense. Eccoli, li vedo. Il furgone davanti al cancello, uno di loro sta parlando al telefono. Intorno, le strade sono deserte. Piove troppo anche solo per una passeggiata.

Il Parco Nemorense inaccessibile per i residenti

“Sono l’amica di Cinzia…”. I sorrisi illuminano la giornata grigia. Aprono le porte del furgone e dentro c’è un tripudio di verdure e ortaggi ordinatamente divisi in cassette. Riempio il carrello, mentre nel frattempo chiacchiero con Cheik: “Come va, dove sono gli altri, quanto avanzo hai? Provo a sentire i miei amici, magari passano anche loro…”.
La conoscete la storia di Barikamà? Io li ho incontrati due anni fa quando hanno iniziato a vendere i loro prodotti la domenica mattina nel parco. Barikamà in lingua bambarà significa “resilienza” ed è una cooperativa sociale nata per volontà di un gruppo di africani del Mali, Gambia, Senegal fuggiti da Rosarno in Calabria, dai campi di pomodori sotto caporalato, durante le rivolte del 2010 e arrivati a Roma con in tasca soltanto la certezza di essere vivi e la speranza di sopravvivere. Intercettati da Peppe Pugliese, uno dei fondatori di SOS Rosarno, intorno a quella zona di confine tra la vita e la disperazione che è la stazione Termini, vengono accolti e aiutati.

Ma lì, negli spazi dell’associazione, il tempo non passava mai, ore snocciolate in attesa del permesso di soggiorno e dei documenti dello status di rifugiato. Se il tempo non passa, bisogna fare qualcosa per non annoiarsi e morire d’indolenza. Loro sono africani, sono un popolo nomade, sono abituati a non sprecare il tempo e a fare anche quando sembra che non ci sia nulla da fare. E allora hanno iniziato a fare lo yogurt. Quello alla maniera africana, come sanno loro, che fanno fermentare il latte dentro le calabash, le zucche a forma di bottiglia, svuotate e riempite di latte senza aggiungere fermenti. A Roma le zucche non ci sono, ma loro si attrezzano con altri contenitori nel centro sociale Ex SNIA sulla Prenestina e iniziano, con il passaparola, a vendere lo yogurt. In breve, la produzione cresce cresce, fino ad arrivare, dopo due anni, a produrne 150 litri a settimana. Vendono ai GAS e ad altre associazioni, ma sono pronti per entrare nel mercato.

Uno degli associati di Barikamà

Tuttavia, perché il prodotto venga acquistato dai ristoranti, dai negozi al dettaglio, nei mercati rionali deve avere una certificazione di normativa. La Barikamà, l’associazione nella quale nel frattempo si erano costituiti, si trasforma in cooperativa sociale e prende in affitto alcune terre del Casale di Martignano, un agriturismo sulla strada per Campagnano di Roma, che ha anche un caseificio. Il latte arriva da Amatrice. Lo vanno a prendere due ragazzi italiani con sindrome di Asperger con cui la Barikamà ha stretto un accordo di collaborazione. Alla produzione di yogurt aggiungono la coltivazione di verdure e ortaggi. Tutti sanno come si fa perché già lo facevano nel loro Paese – Cheik per esempio è un biologo – e adesso a lavorare sono in un discreto numero. Ordinando sul loro sito, i prodotti, dal punto di raccolta di Roma, vengono consegnati a casa in bicicletta, ovunque. Risparmiano sulla benzina, non inquinano. “Ma in bici, dai… tutta Roma!”- “Abbiamo attraversato il deserto e poi il Mediterraneo su un gommone, non ci spaventano i chilometri in bicicletta”, rispondono se gli fai questa osservazione.

Sul barattolo di vetro dello yogurt – vuoto a rendere – l’etichetta recita: Cooperativa sociale di tipo B a r.l. Cooperativa gestita da africani e Asperger. Dallo sfruttamento nelle campagne all’imprenditoria sociale. E allora io la domenica ogni tanto vado a far spesa al Parco Nemorense. Nel quartiere, certo, non avrei che da scegliere, tra il mercato di via Metauro, Campagna Amica dietro la chiesa argentina, il mercato di piazza Crati … ma la domenica con Barikamà sa di buono un po’ di più.

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