Roma, 25 Aprile 2024 - 4:17

Storie da tram

Francesca Piro

Anatomopatologa e fondatrice del salotto letterario "“La linea d’ombra”

8 Ottobre 2019

Piazza Buenos Aires e quella ragazzina russa persa tra via Tagliamento e via Clitunno

Via Tagliamento… via Tagliamento!” Distratta dalla lettura in cui sono immersa, alzo gli occhi verso la ragazzina bionda che continua a ripetere “via Tagliamento!”. Intorno a lei, alcuni passeggeri le stanno mostrando dove siamo sulla cartina che tiene in mano e un’anziana signora che indossa un cappotto vermiglio le sta dicendo “deve scendere con me”. E, mentre lo dice, le sue mani fanno il gesto “seguimi” e la ragazzina lo coglie e si avvicina a lei.

Il tram sbuffa e caracolla verso piazza Buenos Aires. Mi alzo. È anche la mia fermata, quindi mi preparo. Scendiamo in tanti, ma io non perdo di vista la ragazzina che, come un francobollo, sta appiccicata alla signora con il cappotto rosso. Il semaforo ci ferma dall’attraversare e in questo po’ di tempo la signora spiega alla ragazzina dov’è via Tagliamento. “È questa, vede? Lei va giù giù, poi veda un po’, chieda a qualcuno…”.  Scatta il verde, la signora si gira e attraversa verso via Po, la ragazzina verso via Tagliamento. Sono dietro di lei. La vedo smarrita. Continua a guardarsi intorno e a frugare tra le strade disegnate sulla mappa.

Piazza Buenos Aires

Ora camminiamo quasi affiancate. “Hai bisogno? Ti aiuto? Dove devi andare?” Fa un piccolo scatto all’indietro, si allontana quasi. Come avesse timore di rispondere a una sconosciuta. Insisto, sorridendo. “Ti aiuto?” Faccio un gesto con la mano: “Via Tagliamento”, dico. Finalmente si fida. Ha riconosciuto il nome, capisce che ho capito. “Dont spic inglisc“, dice in un inglese basico. Ok, dico, no english. Ruski, dice lei. Ahia! È russa e non parla inglese. Cosa ci fa una ragazzina russa con una cartina di Roma in mano in via Tagliamento? Per un attimo penso di chiamare Luca, il mio amico che parla russo, ma poi me la gioco all’italiana, come farebbe mia madre e, alzando la voce, perché così, urlando, le parole si autotraducono, scandisco: “DOVE DEVI ANDARE?“.

Mi guarda, gli occhi dolcissimi, infantili, le guance rosse, gli orecchini di oro rosso, pendenti a rosetta, come quelli che usava mia nonna, la lunga coda di capelli biondi e crespi. Mette una mano in tasca e tira fuori una tessera di plastica. C’è scritto: hotel Buenos Aires. Ha capito! Il metodo evidentemente funziona. Gongolante le faccio il gesto di seguirmi: “Vieni con me, ti accompagno”. Certamente più facile che spiegarle come fare per arrivare, anche se via Clitunno è proprio a pochi metri.  Mentre andiamo, quasi frettolose e rigorosamente in silenzio, cerco d’immaginare chi sia e perché sta andando al Buenos Aires. La prima ipotesi è che sia a servizio lì o che stia andando per un colloquio di lavoro – eh, però almeno qualche parola d’inglese! -, ma è troppo piccola… Sarà la figlia di un cameriere? Ma poi finalmente si accende una lampadina nel vuoto del mio cervello: è una turista!

Siamo quasi all’hotel. Mi fermo, io devo andare dalla parte opposta. Da lontano le indico l’insegna, è lì. Continua a guardarmi come fossi E.T., impaurita, e non si muove. Decido di accompagnarla dentro. Il concierge ci accoglie con un sorriso. “Buonasera, lei credo che sia vostra! – dico, indicandola – “Si è persa, ve l’ho riportata”. Sul momento l’uomo resta perplesso, poi la ragazzina tira fuori la tessera di plastica – che a questo punto capisco essere la chiave della camera – e tutto si chiarisce. La ragazzina russa continua a fissarmi. “Grazie”, congiunge le mani e s’inchina. “Grazie”, ripete, nell’unica parola in italiano che conosce.

hotel buenos aires
L’Hotel Buenos Aires in via Clitunno

Torno sulla strada verso casa e ripenso a tutte le volte in cui sono stata io ad avere bisogno di aiuto in Paesi sconosciuti durante i miei viaggi, in Libano come in Turchia, ad Atene come a Canakkale, a Marzamemi come a Lisbona. Ovunque ho trovato qualcuno disposto a darmi una mano per capire e sapere dove andare,  a volte mi hanno anche dato un passaggio in macchina. Doveva arrivare una ragazzina dalla Russia per far riaffiorare ricordi bellissimi del nostro Mediterraneo che è ospitalità, accoglienza, asilo, ascolto, aiuto. Mi fermo, guardo il cielo color petrolio e mi sento felice. Ho il mare dentro. Sono in ritardo, ma cosa importa?

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