Storie da tram
Francesca Piro
Anatomopatologa e fondatrice del salotto letterario "“La linea d’ombra”
Il Covid-19 ci farà apprezzare di più la Pasqua, la vita, il cibo, i viaggi
Penso che la Pasqua sia la festa più bella che c’è. Anche per chi non crede, anche per chi ha una visione laica della vita, anche per chi considera la Pasqua un periodo dell’anno con un po’ di feste vicine. Mi piace la Pasqua, più del Natale, perché nel mio cuore rappresenta la primavera, ne sento i profumi, ne percepisco l’arrivo.
E più la Pasqua è alta– ovvero più è in là nella stagione – più io l’aspetto con trepidazione. Mi piace la ritualità di queste giornate, scandite dai riti religiosi, ma anche dai pensieri e dai desideri delle persone, dall’attesa del futuro,dai cibi che si alternano sulla tavola. Quanto è importante il cibo nella relazione tra le persone! In tutte le culture, nelle festività il valore aumenta d’importanza. In Italia mettiamo in tavola pani lievitati per ore, torte rustiche, fritture, piatti elaborati che derivano dalla tradizione religiosa ma anche pagana, quando il tempo fra un rituale e l’altro veniva riempito dalla preparazione dei piatti per la festa. “Un tempo c’era il tempo di” panificare a lungo, di creare cibi elaborati, di prepararsi per la festa anche interiore. Ce ne eravamo dimenticati.
Penso che questa quarantena ci abbia dato modo di ritrovarlo questo tempo e ho immaginato – e anche visto nelle foto pubblicate sui social – tanti dolci tradizionali a lunga lavorazione, tanto pane lievitato, tanti piatti preparati con cura, quasi un esercizio di pazienza e di consumo fruttifero delle ore trascorse in casa. Ho visto anche tanta solidarietà. C’è chi ha preparato per altri, con grande umanità.
La tradizione del cibo è avvincente. M’incanto a leggere le ricette sui libri che ho in casa, immagino i sapori che vengono descritti nei romanzi, non sono brava a sperimentare in cucina, anche se testardamente ci provo, ma il fascino di un piatto tradizionale è per me come una calamita.
Navigando per il Mediterraneo ho assaggiato tante cucine, mi sono seduta a tante tavole nelle trattorie e nei chioschi sulla strada. Ricordo di aver mangiato cibo preparato ad arte, ma anche di aver sfidato la sorte prendendo un boccone direttamente dalle mani di chi – perfetto sconosciuto – me lo stava offrendo. La cucina del mondo è una girandola di sapori, ma è anche la storia lunghissima di un popolo, di una famiglia, di un Paese.
I popoli nomadi conoscono mille ricette a base di alimenti conservati in salamoia, in olio, nel grasso, così come le genti della costa sanno come cucinare il pesce, ma a volte ti sorprendono con un’ottima cucina di carne. Il pane è preparato in centinaia di modi, lievitato e non, la forma ripiegata ad arte o semplicemente rotonda, i segni sulla crosta che sono croci o simboli, le formule rituali perché l’impasto di acqua e farina ricresca alla perfezione. E poi il grano lavorato a chicchi spezzati come nel bulgur o nel couscous, incocciato a mano, girato e rigirato, mentre la fatica delle braccia sembra condire la materia. E poi le spezie, sapore su sapore, e quindi il sale, l’olio, l’aceto.
I giorni di Pasqua, i giorni della rinascita. In queste settimane di quarantena, qualcuno nel gruppo Facebook del Trieste-Salario ha iniziato a pubblicare i numeri al contrario. Tanti i morti indicati dal bollettino della Protezione Civile, tanti i bambini nati in Italia. Ogni giorno. Perché si muore e si nasce, perché la vita prosegue, perché il paziente 1 di Codogno è uscito dalla terapia intensiva e pochi giorni dopo nasceva sua figlia, perché ora siamo più consapevoli del valore di quello che abbiamo, perché adesso sappiamo che i nostri ragazzi sono più saggi delle nostre paure.
Ieri ho rimesso a posto un po’ delle mie foto e adesso sul tram le guardo sul cellulare. Ecco Istanbul, le mura di Beirut, i ponti del Bosforo, i fanali del porto di Atene, le navi alla fonda a Salonicco… Ho tanta nostalgia del viaggio. Chissà quando si potrà tornare a viaggiare? Senza pensare, senza doversi assumere la responsabilità di superare la soglia di casa in un atto così naturale come è quello che nasce dal desiderio di andare.
“Dove vai?” – “Parto”.