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Storie da tram

Francesca Piro

Anatomopatologa e fondatrice del salotto letterario "“La linea d’ombra”

30 Marzo 2020

Ho bisogno di toccare qualcuno

Ho bisogno di toccare qualcuno. Adesso. Compare così, improvvisamente, questo bisogno. Sto lavorando, gli occhi sul microscopio, la testa che lavora sulle cellule che sto guardando e poi… bum! Mi esplode nel petto il bisogno di sentire sulla pelle il calore della pelle di un’altra persona. Mi fermo. Non posso continuare, la mente ha cambiato direzione.

Respira, Francesca, respira. Mi alzo e vado a prendere una boccata d’aria sul terrazzino. Sfilo la mascherina. Da qui si vede un pezzetto piccolo di Roma, il giardino dell’ospedale, la panchina rossa, le statue della cattedrale. Respira, respira. Le mani stringono la balaustra, il sole scalda. Mi calmo, rimetto la mascherina sul viso, rientro in reparto, mi siedo e riprendo a lavorare.

Ho bisogno di toccare qualcuno. Ho ragionato molto su quella sensazione, su quella necessità piombata improvvisa sulla mia scrivania in una di queste giornate pazzesche tra emergenza e quotidianità. Io, che non ho un compagno e che sono molto riservata nelle manifestazioni affettive, ho desiderato di poter toccare qualcuno. Negli ultimi anni, da quando avevo iniziato la mia avventura con Progetto Mediterranea, avevo imparato finalmente ad abbracciare. In barca i sentimenti si sciolgono e accade spesso che ci si scambi un abbraccio.

Per condivisione di un momento, per l’emozione di felicità, per sostenere, per accompagnare. E anche a La Linea succede che ci abbracciamo, e quanto è bello? Mi mancano quegli abbracci, mi mancano quelle mani strette, quegli intrecci di polsi, quei sorrisi commossi.

Ho bisogno di toccare qualcuno. Salgo sul tram ogni mattina, le mani in tasca attenta a non toccare nulla e mi siedo. La piazza è vuota, il viale anche, i binari si perdono sull’orizzonte. Da giorni ormai siamo io e il tramviere che tira giù dritto verso piazzale del Verano senza mai fermarsi, tanto alle pensiline intermedie non c’è mai nessuno. L’altro giorno, invece di scendere in via Labicana, distratta nei miei pensieri, mi sono accorta che il tram aveva saltato due fermate, e sono scesa al Colosseo. Quale immensa bellezza davanti ai miei occhi alle 7:30 del mattino! Mi è venuto da piangere.

Ho bisogno di toccare qualcuno. Prima, quando ancora ci potevamo toccare, mi capitava di dare appuntamento a mia madre in piazza Buenos Aires e di fare una passeggiata lungo via Po per raccontarci un poco la giornata. Lei ha sempre mille argomenti in canna, storie che la fanno arrabbiare, particolari che deve raccontare. È sempre in attesa che mia sorella ed io torniamo dal lavoro perché “poi vengo un po’ da te e ti racconto”. Ora che mia sorella lavora da casa, il ritmo è comunque lo stesso, a una certa ora, che è poi l’orario in cui mia sorella rientra dal lavoro, mia madre le telefona.

Ecco, mi manca quella breve passeggiata, lei con il braccio appoggiato al mio, a “due all’ora” su verso via Salaria e poi a scendere verso Regina Margherita. Niente di speciale, giusto per stare insieme e, ora ho capito, per sentirci l’un l’altra anche fisicamente. Anche mia madre è come me, poco espansiva nelle manifestazioni affettive e penso che questo suo appoggiarsi a me sia un piccolo compromesso.

Ho bisogno di toccare qualcuno. Mi torna una frase che mi raccontò una volta un avvocato penalista campano “Avvoca’, la posso toccare”, gli chiese una volta un uomo condannato al 41bis. “solo le mani, avvoca’, sono mesi che non tocco una persona”. All’epoca mi sembrò una richiesta strana, non ne compresi pienamente il significato se non quello direttamente attinente alla pena e quindi ad un possibile reato. Oggi mi rendo perfettamente conto del peso di quelle parole e ne sento la sofferenza.

Ho bisogno di toccare qualcuno.

Ho bisogno di toccare qualcuno.

E sarà questa la prima cosa che mi permetterò di fare quando tutto questo sarà finito.

Prenderò la mano di qualcuno e la stringerò forte, ne sentirò il calore, ne toccherò la consistenza, ne apprezzerò la gioia.

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