Quando un negozio in via Tagliamento chiamò “lazzaroni” il re e il duce
Oggi ho avuto occasione per ripensare a mia madre. A una comprensibile vena di nostalgia per una persona cara che non c’è più, si è unita la tenerezza di ricordi nitidi e precisi che riguardano il modo, tutto particolare, di raccontare le cose che aveva mia madre. Noi bambini sapevamo di poterla interrompere nel bel mezzo del discorso e ne approfittavamo per farle domande che la mettevano in difficoltà perché la facevano uscire dal seminato, per cui le sue storie non finivano mai. Era difficile che le raccontasse sempre alla stessa maniera, un po’ come se la sua preoccupazione fosse quella di divertire (o che è lo stesso, non annoiare) chi l’ascoltava. Ma io credo, conoscendola, che le variazioni sul tema, come le divagazioni e le precisazioni, nascessero anche e soprattutto dal bisogno di non annoiarsi lei nel riferire le cose.
Oggi alla Torrefazione De Sanctis di via Tagliamento 88, mi son trovato di fronte a un negozio che, ripensando alle foto e soprattutto ai film d’epoca, mi ha ricordato gli anni di quella che fu la giovinezza di mamma. Un bancone alto e tu, che per ritirare il pacchetto che ti danno, non allunghi ma alzi il braccio. Alle spalle dei commessi, grandi scaffalature dove le merci sono esposte ricoprendo le pareti dal pavimento al soffitto, col reparto “drogheria” dove campeggiano su un lunghissimo bancone, rivestito di marmo, le bocce di vetro d’epoca con dentro caramelle, cioccolatini, canditi e quant’altro.
Qui io oggi ho sentito, con mia sorpresa, una storia che mi raccontava mamma.
Mia madre non era romana, ma, sposatasi con mio padre, venne ad abitare a Roma poco prima che finisse la seconda guerra mondiale. I miei vissero l’occupazione tedesca nascosti in una casa di via Garigliano, di cui era proprietaria la moglie di un fratello di papà. Erano le donne a uscire, a sentire quel che in giro si diceva, ed è probabile che qualcuno del quartiere raccontasse a mia madre la storia che con mia sorpresa ho sentito stamattina per bocca del signor Giovanni De Sanctis, attuale proprietario e conduttore di una torrefazione nata nel lontano 1924, per iniziativa di Francesco Postiglione nativo di Raiano vicino Sulmona. Nipote di Postiglione – come lui stesso tiene a precisare – il signor De Sanctis ha iniziato a lavorare in Torrefazione dal 1947, prima come ragazzo di bottega, quindi come commesso, per poi rilevare alla morte dello zio l’azienda da lui avviata.
Anche al signor De Sanctis fu raccontato il fatto assai singolare che riferisco non senza qualche trepidazione, perché timoroso, fino a ieri, che si trattasse più di una leggenda che non di un fatto vero. E invece evidentemente il fatto che mamma mi raccontava, avvenuto con certezza prima che il signor De Sanctis iniziasse a lavorare nella torrefazione come ragazzo di bottega, è veramente accaduto ed è un fatto storico del quale mi riprometto di trovare altre tracce.
Siamo ai tempi del Ventennio, quando in Italia governava Benito Mussolini.
Ci fu un avvenimento che andava celebrato. Probabilmente era la proclamazione dell’impero nel 1936. In tutta Roma, anzi in tutta Italia, nelle vetrine dei negozi campeggiavano i ritratti dei due registi della politica italiana del tempo: Vittorio Emanuele III e Mussolini.
All’epoca le vetrine “reclamizzavano” prodotti che non fossero solamente noti, ma anche graditi alla popolazione, specie quando si trattava di prodotti alimentari. Il biscottificio Lazzaroni era allora notissimo. La ditta, fondata sul finire del 1700 da Carlo Lazzaroni, divenne fiorente e si affermò nel mercato dolciario a cominciare dal secondo Ottocento. Nei negozi autorizzati alla vendita di certi prodotti che fossero prova della fantasia e del buon gusto degli italiani accadeva perciò che fra le vetrine una fosse destinata – non so dire se per sagace strategia dell’industriale o del commerciante – ai prodotti più noti e apprezzati. C’era perciò nella Torrefazione del signor Postiglione una vetrina che esponeva i prodotti Lazzaroni. In questa vetrina, forse più bella, perché più curata delle altre, furono esposti per l’occasione i ritratti del re e del duce.
Il punto, secondo quanto mamma mi raccontava, è che tra le due foto campeggiava una scatola di biscotti Lazzaroni, con su la scritta “questi sono i veri Lazzaroni italiani”. Per lungo tempo ho sospettato che questo dettaglio del racconto nascesse dalla sbrigliata fantasia di mia madre, che non sapeva dire in quale negozio fossero state esposte le foto in questione. Oggi, a ripensarci, devo ammettere che la dicitura “questi sono i veri Lazzaroni italiani” ha tutta l’aria d’essere uno slogan pubblicitario scelto dal biscottificio Lazzaroni per rivendicare l’unicità e autenticità di un prodotto apprezzato e ricercato.
Quel che il signor De Sanctis mi riferisce è che lo zio passò dei guai. Vennero non so se i carabinieri o la polizia a chieder conto e ragione del fatto comunque increscioso. Francesco Postiglione, secondo quanto riferisce il nipote che mi precisa d’avere ascoltato la storia da un avvocato (dettaglio per me significativo), riuscì a scagionarsi ma certo l’episodio merita d’essere messo a confronto con altri in un’epoca in cui il dissenso conosceva forme assai velate, direi garbate e insinuanti. Si pensi al motivetto: Le gocce cadono ma che fa / se ci bagniamo un po’ / domani il sole ci potrà asciugar…
Ugualmente non poteva dirsi che i due poco allegri compari, come li chiamava mia madre, fossero dei… lazzaroni e bisognava trovare un modo sottile per lasciare che il discorso si completasse dando ai passanti tutti gli elementi: la foto del re, la scatola di biscotti con l’innocente slogan pubblicitario, e per finire la foto del duce.
Evidentemente qualche passante, preso da zelo, attirò l’attenzione di chi di dovere e il signor Postiglione ebbe qualche patema d’animo. Ma obiettivamente mica che lui avesse mai riferito ai due rispettabilissimi personaggi l’epiteto di lazzaroni. Lazzaroni erano per lui i biscotti!
Però certo, come si dice a Roma quanno ce vo’ ce vo’ e quindi terminando la canzone, proviamoci, vediamo se veramente succede qualcosa e insomma “seguiam la strada del destin”.