23 Marzo 2020 - 14:17 . Prati . Cronaca
Uno storico barista di Prati: “Ecco perché il decreto Cura Italia non basta”
“Sono giorni surreali quelli che stiamo vivendo, penso che ci sia bisogno di un serio cambiamento di vedute e non soltanto a livello governativo”.
Lorenzo, erede della tradizione Vanni cominciata da nonno Giuseppe, è il titolare dello storico caffè in via Col di Lana. Le saracinesche, come per tutti i colleghi, sono abbassate dall’11 marzo, da quando palazzo Chigi ha deciso di chiudere tutte le “attività non essenziali” al fine di contenere il diffondersi del Coronavirus. Per il marchio Vanni è la prima volta in 53 anni. Dopo la serrata generale, per ora calendarizzata fino al 3 aprile ma suscettibile di proroghe, c’è il rischio che molte attività non possano riprendere. Nei libri mastro le uscite sono molteplici (dipendenti, accise, fornitori, affitti, bollette e altro) mentre le entrate ridotte a zero. Il decreto “Cura Italia” rinvia di qualche mese gli assegni da onorare, ma dopo?
“Il decreto è soltanto un palliativo – continua Vanni – sostanzialmente le imprese si troveranno presto a far fronte alla situazione odierna ma anche a quella futura. Sospendere le tasse è un obbrobrio, domani, quando l’emergenza sarà finita, non ci saranno soldi per ripianare il pregresso”.
La pandemia di Covid-19, secondo l’imprenditore, rischia anche di avere ripercussioni sociali che si ripercuoteranno nell’economia: “Dopo un certo periodo la gente si abitua a uno stile di vita diverso, c’è la possibilità che certe abitudini non tornino più”.
Infine, Vanni spiega perché ha deciso di congelare del tutto l’attività, senza affidarsi a servizi da asporto che potrebbero portare i suoi prodotti nelle case: “Chi mi garantisce che chi gestisce il trasporto e chi lo effettua non sia contagiato? Preferisco a questo punto non rischiare”.
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