8 Febbraio 2021 - 14:00 . Prati . EXTRANEWS
Chi era “er Ciriola” e perché il suo barcone sul Tevere naviga ancora nei ricordi dei romani
di Sergio Campofiorito
Quando il Tevere era ancora “biondo” era la spiaggia del popolo, o di una sua parte, quella che non poteva permettersi di raggiungere il litorale. A guardare oggi il fiume, così soffocato dai veleni, sembra trascorso più del bianco e nero di questa immagine tratta dal gruppo Facebook “Sei di Prati se…”. Lo scatto è degli anni Sessanta, lo sfondo è Castel Sant’Angelo di cui si riconosce un torrione.
I nostri padri e i nostri nonni, tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta frequentavano un barcone, male in arnese ma ancora gagliardo, attrezzato a stabilimento balneare, un punto d’attracco sociale per un’epoca che scorre dal Dopoguerra all’Autunno caldo, forse la più spensierata del nostro Novecento. Il proprietario si chiama Luigi Rodolfo Benedetti, da tutti conosciuto come “er Ciriola” (anguilla) poiché sta sempre ammollo. Benedetti è un elettricista, del rione Regola, apre bottega in piazza del Biscione e alterna questa attività a quella di fiumarolo.
Il posto, per lustri, è bazzicato da giovani, ragazzi di strada, gente semplice, e snobbato da molti poiché considerato un luogo di divertimenti per i meno abbienti “colpevoli” di non aver cavalcato il boom economico. Il barcone si prende però una clamorosa rivincita nel 1957 quando Dino Risi ci ambienta diverse riprese del celebre “Poveri ma belli”. Quell’ansa stretta tra due lingue di rena diventa così il santuario pagano dove recita, come una naiade, l’incantevole Marisa Allasio (che di lì a poco si sarebbe maritata bene con il conte Calvi di Bergolo) e i suoi due scultorei chierici, Maurizio Arena e Renato Salvatori.
Er Ciriola diventa così un mito e il suo barcone il punto più allegro del Tevere attirando sempre più persone di ogni ceto e virtù (in fin dei conti, ci ha lavorato una contessa). E registi. Pier Paolo Pasolini ci gira alcune scene di “Accattone” (1961). La stagione delle estati romane tramonta quando un incendio consuma lo stabilimento nel 1970, facendo cenere anche della spensieratezza di quei tempi. Quietate le fiamme, per il biondo, e per Roma, si spegne la luce. Al contempo, infatti, delle melodie delle radio a transistor rimangono gli echi delle pistolettate e le grida delle piazze rabbiose, anni di piombo che della medesima tonalità tingono il fiume. Settantenne, gli acciacchi di una vita passata tra le correnti si portano via anche Benedetti su un lettino dell’ospedale Santo Spirito.
Divenuto riparo di senzatetto, il barcone affonda negli anni Novanta, inghiottito dalle acque a causa di una piena che, senza chiedere né riverire, cancella così un pezzo di storia. Ma non il mito.
Ovunque l’oscurità abbia oggi offerto pietosa dimora al relitto, col legno stanco, con le scritte dilavate e le funi come capelli d’annegata, la sua memoria non è stata però obliata, grazie ai ricordi di tanti romani “Poveri ma belli” e ai social, moderni custodi di un bianco e nero mai così ricco di colore.