30 Marzo 2021 - 19:08 . Conca d'Oro . Retesociale
San Frumenzio, una parrocchia da 25 anni a supporto delle prostitute di Prati Fiscali
di Valerio Valeri
Prima del Covid si muovevano tra le 21 e l’una di notte, adesso hanno dovuto anticipare il turno alle 18.30, perché il coprifuoco imposto dal governo per contenere la diffusione del virus ha anche cambiato le abitudini di chi paga per fare sesso.
I volontari dell’unità di strada della parrocchia di San Frumenzio da 25 anni ogni mercoledì si mettono in macchina – di solito due vetture, preventivamente segnalate alle forze dell’ordine – e cercano di portare conforto e umanità alle tante ragazze costrette a prostituirsi tra via Salaria e via dei Prati Fiscali.
“Portiamo umanità a ragazze fragili”
Giorgio Carosi, 48 anni, impiegato di banca, è il referente dell’attività. A Roma H24 racconta cosa significa entrare in relazione con le prostitute del nostro municipio, donne giovani – a volte giovanissime, minorenni – portate in Italia con la scusa di un lavoro vero e invece sbattute su un marciapiede da aguzzini camuffati da fidanzati. “Innanzitutto tengo a specificare – spiega Giorgio – che non sono le ragazze a chiedere il nostro aiuto, ma siamo noi che andiamo da loro. E lo facciamo senza invadenza né presunzione. Non le giudichiamo, non vogliamo ‘redimerle’, ma solo trattarle con umanità, perché sono persone purtroppo abituate ad essere circondate da uomini che non le amano, ma le sfruttano e gli usano violenza. Hanno bisogno di attenzione, di un punto di vista differente”.
Ed è anche per questo che il gruppo di volontari di San Frumenzio è sempre ben equilibrato tra donne e uomini. “Lo facciamo per due motivi – prosegue Carosi – e il primo è che le ragazze preferiscono confidarsi con un’altra donna, per entrarci in intimità e aprirsi di più. Il secondo è che potrebbero presentarsi situazioni spiacevoli, quindi meglio essere misti”.
Gli inizi dell’attività di strada
All’inizio, nel 1996, erano in pochi a credere in questa attività. “Lo facevamo quasi di nascosto – ammette Carosi – poi negli anni la problematica si è allargata, le ragazze sono arrivate fin sotto ai palazzi di via Cavriglia e via dei Prati Fiscali e i parroci che si sono susseguiti hanno sempre più compreso l’importanza di affrontare il tema”. Uno di loro è don Daniele Salera, parroco di San Frumenzio da 5 anni. “L’unità di strada nasce da un’idea dell’attuale direttore della Caritas Diocesana, don Benoni Ambarus (appena nominato vescovo ausiliario, ndr) – ci spiega il parroco – che ha sempre avuto una forte sensibilità per questi temi. Mise in piedi un gruppo e iniziarono a scendere in strada una volta a settimana”.
“Si vergognano, si sentono sporche”
La scorsa settimana i carabinieri hanno sgominato una banda dell’Est che faceva dello sfruttamento della prostituzione il centro del proprio business criminale, e grazie all’attività investigativa è stato possibile liberare una ventenne romena che il “fidanzato” aveva venduto ai suoi aguzzini per 10.000 euro e veniva fatta vendere proprio a due passi dalla parrocchia. “Forse l’abbiamo conosciuta – ipotizza Giorgio – anche se in strada sono quasi tutte di quell’età e quasi tutte romene, o moldave. Si vergognano, hanno paura del giudizio altrui, si sentono sporche. Ma quando ottieni la loro fiducia si aprono, ti vedono come un amico e a volte cacciano i clienti perché prima devono parlare con noi, con un the caldo e uno snack che portiamo loro”.
Ragazze dell’Est e nigeriane: come arrivano in Italia
Carosi poi ci spiega che il “mercato” del sesso a pagamento nel nostro quartiere si divide tra ragazze dell’Est e nigeriane. Arrivano sulla strada da due percorsi differenti: “Le romene e le moldave (ma c’è anche una ragazza russa) vengono adescate con la promessa di una vita migliore, più agiata – racconta – e spesso hanno una famiglia da mantenere, dei figli a cui mandare soldi. Gli dicono ‘vieni in Italia a fare la barista’, magari a farlo è il loro fidanzato di cui sono innamorate. Poi si ritrovano a prostituirsi ma vanno avanti nella speranza di uscirne. Le nigeriane, invece, solitamente lavorano per ripagare debiti enormi, fino a 40.000 euro, che contraggono con le organizzazioni criminali che le hanno messe su un barcone e fatte arrivare clandestinamente in Italia. A volte sono le famiglie a venderle, poi le sottopongono a un rito di giuramento ju-ju, che le lega indissolubilmente agli aguzzini e le costringe a fare ciò che vogliono”. L’essere clandestine, non conoscere il valore dei soldi e non capire l’italiano le isola ancora di più.
C’è chi si salva
Per fortuna, tra le tante che non riescono a vincere la paura, c’è qualcuna che dice basta e si lascia salvare: “Anni fa una di loro – racconta Carosi – venne a bussare in parrocchia la notte di Pasqua. Non ce la faceva più, il suo protettore era violento, alcolizzato, lei doveva pagare tutto dal mangiare alla camera d’albergo in cui vivevano. L’abbiamo accolta qualche giorno, tanto che l’uomo è venuto anche a cercarla. Poi tramite il servizio ‘Roxanne’ del Comune è stata presa in carico e ha denunciato il suo aguzzino, iniziando un percorso protetto che l’ha portata ad una nuova vita, ad un lavoro vero”. “Dietro ognuna di loro c’è una storia – conclude Giorgio Carosi – , hanno scelto quella strada non per facilità o per essere ricche, ma per portare soldi a casa come fa ognuno di noi”.