11 Marzo 2022 - 15:39 . Cronaca

Via Fani, 16 marzo 1978, ore 9: il caso Moro e 44 anni di indagini senza una Verità

Il rapimento di Aldo Moro in via Fani
Il rapimento di Aldo Moro in via Fani

di Vincenzo Fenili*

Sulla tragica vicenda del sequestro Moro si sono scritti, letteralmente, fiumi di parole; più commissioni parlamentari si sono avvicendate e si è ascoltata una pletora di testimoni, fonti confidenziali, funzionari istituzionali e politici senza che però sia stata fatta ancora piena luce, non tanto e non solo su ciò che successe quella mattina in via Fani, ma su tutto quanto avvenne dietro le quinte. Ritengo estremamente probabile che piena luce non verrà mai fatta: in quella vicenda si mossero tali e tanti attori istituzionali (anche, e forse principalmente, non italiani) che ormai la verità è diventata paradossalmente secondaria rispetto alla quantità di versioni che rischia di diventare (e forse lo è già) materia per esperti e cultori di spy stories. Vi è chi sostiene che nella Fiat 130 non vi fosse l’on. Moro ma una controfigura, che il vero killer sia stato Ilich Ramirez Sanchez detto “Lo Sciacallo” mentre i brigatisti pasticciavano con gli inceppamenti delle armi, insomma un vero fumus di versioni la maggior parte delle quale è destituita di ogni fondamento… ma non tutte.

L’ex agente sotto copertura Vincenzo Fenili

 Se è vero che “maggiore è la conoscenza, maggiore è il dolore”, una cosa è certa: oltre al fatto che morirono tragicamente tre poliziotti, due carabinieri ed il presidente Aldo Moro,  è certo che si trattò di terrorismo “prestato” e usato da uno o più servizi segreti per liquidare Moro ma soprattutto qualsiasi possibilità di quel  “compromesso storico” sul quale lui stava tanto lavorando. La nebbia ancora fitta che circonda quella vicenda è tale che appare impossibile, e forse addirittura sconsigliabile, cercare di portare un po’ di luce. Gli unici punti fermi sono quanto emerso dalle varie Commissioni parlamentari.

 Vi è però uno snodo suggestivo della vicenda che merita, a mio parere, qualche riflessione. I condomini di via Massimi 91, strada assai vicina al luogo del rapimento, furono oggetto degli accertamenti della seconda Commissione ed è altamente probabile che qui fu il primo luogo dove l’on. Moro fu portato immediatamente dopo il sequestro: tra il 1977 e il 1978, l’attico della palazzina B fu parzialmente ristrutturato e modificato realizzando un confortevole ancorché piccolo locale. L’attico aveva inoltre la caratteristica di una straordinaria posizione panoramica trovandosi a 129 m sul livello del mare senza che intorno vi fossero punti di osservazione che consentissero di vedere gli inquilini e i loro movimenti. Ulteriore dettaglio strategico di non poco conto riguardo alla palazzina B, era che essa aveva un doppio ingresso, il principale su via Massimi e uno, dal garage, su via della Balduina: insomma si poteva entrare e poi uscire dal retro anche in macchina senza essere visti.

 Ovviamente la Commissione indagò su questo attico ma le sue attività furono interrotte dalla caduta dell’allora governo in carica e quindi questa parte della vicenda muore qui. Le circostanze a dir poco singolari che si intrecciano intorno a questi condomini sono diverse e iniziano con la proprietà, che in quegli anni era dello Ior (l’istituto di credito legato al Vaticano), il che non ne faceva certo “territorio extraterritoriale” rispetto all’Italia ma, viste soprattutto alcune importanti presenze tra i condomini, li rendevano probabilmente uno degli ultimi posti dove si sarebbe potuto pensare di cercare l’ostaggio: da un punto di vista tattico-militare, un ostaggio (soprattutto di quella importanza) o lo si porta via subito e lontanissimo dal luogo del prelievo, o lo si posiziona temporaneamente in un luogo così prossimo e sicuro che sia praticamente al di fuori delle possibili attenzioni delle forze dell’ordine.

 Il costruttore dei condomini era Luigi Mennini, padre di quel don Antonello Mennini che fu molto coinvolto nella vicenda del sequestro anche nel ruolo di mediatore, nonostante poi anche quella opzione fosse vanificata. Diversi altri alti prelati risultano essere stati ospiti di quel condominio, tra di essi Paul Marcinkus, allora al vertice dello Ior, i cardinali Alfredo Ottaviani e Egidio Vagnozzi, quest’ultimo in rapporti personali con l’on. Moro. Troviamo altre presenze sempre più particolari in questi appartamenti ma due sono veramente interessanti. In via Massimi risiedeva anche il faccendiere libico Omar Yahia, funzionale ai servizi di informazione libici, italiani e statunitensi e molto verosimilmente legato a Edwin Wilson, elemento di spicco nel medio oriente (ma non solo) della CIA e del quale parlerò tra breve.  La presenza certamente più eclatante in via Massimi 91 è però quella della “Tumpane Co.” che ha qui la sua sede legale italiana e che asseritamente si occupava di “servizi vari”: in realtà la “Tumpane” altro non era che la “Tumco” americana, società attiva nel settore della difesa che forniva una non meglio definita assistenza alla NATO…ma che la Commissione accerta svolgesse attività informativa sotto copertura per un “organo informativo statunitense” con sede a via Veneto e conosciuto come “The Annexe”, ovvero la CIA.

Quindi, nella palazzina di via Massimi dove verosimilmente fu custodito, almeno all’inizio, l’on. Moro si trovava, c’era (in una veste o nell’altra) una divisione operativa esterna e sotto copertura della Cia? Pare proprio di sì, e negli eventi relativi a via Fani le lunghe ombre dell’intelligence americana si allungano considerevolmente: nella sua storia l’agenzia (la ditta, per gli addetti ai lavori) ha usato innumerevoli società di copertura per gestire affari talmente sporchi (compresa la liquidazione di leader politici) da dover essere messi a una distanza di relativa sicurezza, salvo poi deflagrare per la nota goffaggine nel gestire le conseguenze delle “wet operations”. Tra gli esempi di società di copertura l’arcinota Air America (utilizzata tra l’altro nel traffico di oppio durante il conflitto vietnamita) e la meno nota Eatsco (Egyptian American Transport and Services Corporation, coinvolta in traffici di armi e altre attività del tutto illegali). Ma negli anni ne sono venute fuori una miriade di altre.

 Durante le attività di Air America in Laos, lo “Station Chief” a Vientiane era Ted Shakcley, mentore di Edwin Wilson della Eatsco che ritroviamo a Roma in circostanze a dir poco molto curiose. Lui infatti arriva all’aeroporto di Fiumicino nei giorni del sequestro con un jet dei servizi segreti libici e viene identificato dai nostri servizi: non si hanno informazioni sulle sue attività a Roma ma Wilson è una figura tanto enigmatica quanto rilevante nella storia della CIA “parallela”: insieme al socio/collega Frank Terpill era attivissimo in Libia avendo, tra l’altro,  organizzato i campi d’addestramento libici (utilizzati da terroristi di varie organizzazioni) i cui istruttori provenivano dalle forze speciali USA.  

Da noi si è fatto, a  torto o a ragione, un gran parlare dei servizi segreti “deviati” che a mio avviso non sono stati altro che lo specchio di quanto avveniva e forse avviene ancora, ma in misura enormemente più rilevante, nell’intelligence Usa. Due universi paralleli, di cui uno dedito solo e unicamente a tutte quelle attività inconfessabili che i politici non avrebbero mai potuto approvare né delle quali, men che mai, dovevano (o volevano) essere a conoscenza. Ted Shackley non è il padre fondatore di questa Cia parallela ma è sicuramente uno dei suoi più grandi direttori esecutivi sin dal suo incarico presso la Stazione Cia di Berlino nel dopoguerra. Quanto a Edwin Wilson, è uno dei suoi principali bracci operativi, e ha condotto innumerevoli “wet operations” anche ma non solo di tipo commerciale in tutto il Medio Oriente mantenendo rapporti con amici e nemici degli amici al tempo stesso come con lo scià Reza Palhavi (forniva attrezzature e tecnologie per gli interrogatori alla polizia segreta Savak salvo intendersela con chi lo stava per rovesciare), Saddam Hussein, il colonnello Gheddafi e altri personaggi tutti passati alla storia e a miglior vita.

 L’on. Moro, nel suo programma del “compromesso storico”, non aveva molti amici a livello internazionale: sicuramente non gli americani che lo minacciarono esplicitamente durante una visita di stato nel 1974. Lo fece Steve Piezenik, ufficiale di collegamento tra i servizi Usa e quegli italiani, che intervistato da Giovanni Minoli nel 2018 ammise che il suo compito era “manipolare i terroristi italiani così da fare che le Brigate Rosse uccidessero Moro ad ogni costo”.

 E infatti in quel condominio in via Massimi 91, affollato da presenze a dir poco inquietanti, puntualmente spunta anche il brigatista Prospero Gallinari che, come accertato dalla Commissione Moro 2, fu ospitato in quello stabile per qualche mese a partire dall’autunno del 1978… pochi mesi dopo quel 9 maggio in cui la Renault 4 rossa fu parcheggiata in via Caetani e poco dopo l’irruzione dei carabinieri del generale Carlo Alberto Della Chiesa nel covo di via Monte Nevoso.

 Nemmeno l’Unione Sovietica era particolarmente entusiasta del “compromesso storico” dell’on. Moro ma ritengo che, disponendo i servizi segreti sovietici (allora come oggi) di una rete formidabile di “agenti d’influenza”, si limitarono a stare alla finestra e monitorare gli eventi.

 L’ultima suggestione, che però non ha niente a che fare con via Massimi, è l’esistenza di una videocassetta Vhf che documentò i tragici eventi dell’agguato di via Fani: ne parla l’ottimo film del 2003 “Piazza delle Cinque Lune” di Renzo Martinelli che propone una ricostruzione del sequestro Moro utilizzando una vicenda di fantasia. Se anche esistesse, di questo documento video si può affermare con certezza che non verrà mai fuori. Sul ruolo, diretto o indiretto, dei servizi Usa in quel bagno di sangue per le strade di Roma del 16 marzo 1978, non si hanno certezze giudiziarie ma per gli addetti ai lavori vi sono pochi dubbi. Non a caso nel lontano 1966 la Us Federal Trade Commission mise nero su bianco che  “Human Blood is a Commodity”, ovvero che il sangue umano è una merce. E mai, come nel caso della strage di via Fani, il sangue versato fu utilizzato per giochi che ancora in parte ci sfuggono.

* (Vincenzo Fenili è un esperto di sicurezza ed ex agente sotto copertura in forza a vari servizi di intelligence italiani e nell’ambito Nato. Con lo pseudonimo di Kasper ha scritto, insieme a Luigi Carletti, il romanzo-verità “Supernotes”, edito da Mondadori nel 2014).

La vicenda di via Fani è raccontata nel dettaglio anche nel volume di Typimedia Editore “La Storia della Balduina”.

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