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L’analisi: dalla chiusura di Cavalletti al nuovo volto dei nostri quartieri post-lockdown
di Guido CutilloNel quartiere la notizia bomba è la chiusura di Cavalletti, produttore di quello che senza dubbio era il miglior millefoglie di Roma, ma questa chiusura non è che la più dolorosa delle conseguenze legate alla trasformazione che stanno subendo le nostre città in seguito alla contingenza Covid e al macrotrend digitale. Cosa sta succedendo?
La rivoluzione digitale ormai in atto da diversi anni sta cambiando radicalmente i nostri modelli di consumo. Chiunque abbia un figlio adolescente sa quanto ad esempio sia comune tra i giovani il ricorso a una delle mille app disponibili per ordinare a casa del cibo cucinato. Oppure Amazon. Perché andare in libreria se posso ordinare un libro (o qualunque altra cosa) comodamente sdraiato sul divano? Oppure ancora: perché andare in banca a fare la fila per pagare una bolletta se ho un’app sul telefono con cui posso fare qualunque operazione senza uscire di casa?
E in mezzo a questo macrotrend digitale si innesta lo tzunami Covid che con il lockdown ha funzionato da acceleratore costringendo anche i più restii a fare un abbonamento al giornale su I-pad o la spesa on line. E infine è caduta anche l’ultima delle ragioni per uscire di casa: il lavoro. Tutti, o quasi, siamo finiti in smart working, anche chi in effetti faceva un lavoro tutt’altro che smart. Ossia, ci siamo messi a lavorare da casa video-connessi con l’ufficio, i team o il resto del mondo a seconda dei casi. E in molti casi ci siamo ancora, in Italia e all’estero.
Ma come sta andando e quali saranno le conseguenze sul nostro modo di vivere e sulle nostre città? Recentemente sono usciti articoli su importanti testate internazionali per decretare o denunciare la morte di città blasonate come NYC o Londra, città che da sempre hanno puntato il proprio sviluppo sull’attrazione di talenti da ogni dove e che adesso si trovano in crisi, dal momento che questi talenti possono scegliere di lavorare da Long Island o da Ostia. Entrano infatti in crisi il mercato immobiliare, la ristorazione, i servizi, i trasporti etc. Addirittura qualcuno dice che per ogni lavoratore in smart working ce ne sarebbe uno che perderebbe il lavoro. Esagerazioni secondo me. E però non vi è dubbio che siamo entrati in un mondo diverso e con questo dovremo fare i conti nel prossimo futuro.
Avremo la necessità di rinnovare completamente il “parco” uffici. Questi sono infatti nati in epoche diverse quando, per dirla con Fantozzi, la crescita nella gerarchia aziendale era scandita dalla conquista di un proprio spazio vitale che si andava via via arricchendo di quadri, ficus, finestra panoramica fino ad arrivare alla scrivania in pelle umana. E quella era la “nostra” scrivania e il “nostro” ufficio dove mettevamo le foto della nostra famiglia o della nostra barca. Ma se in futuro sarà presente solo una porzione del personale, diciamo il 60%, perché mai le aziende dovrebbero sobbarcarsi di costi per il 100%? Significa quindi che gli uffici tenderanno ad essere sottodimensionati e questo porterà con se il fatto di non avere più un ufficio dedicato. Ma se mi dovrò spostare di volta in volta di scrivania, non potrò nemmeno avere le mie carte sulla medesima scrivania e quindi dovrò avere uffici totalmente digitalizzati con i documenti tutti in rete accessibili dall’ufficio come da qualsiasi altro posto… E questo non è il futuro ma il presente in molte realtà aziendali.
Potremo quindi sfruttare questa occasione per rigenerare le nostre città facendone dei posti più belli e vivibili, con investimenti che attiveranno ciclo economico e crescita economica, questa sì necessaria in un paese che ormai non cresce da troppo tempo.
Lo smart working, che vuol dire lavoro intelligente e non lavoro da casa, è in qualche modo uno dei frutti positivi del progresso tecnologico, ma va per l’appunto fatto in modo intelligente. Il fatto di ridurre drasticamente il tempo perso in mezzo al traffico ad esempio è un fattore positivo cosi come pure la conseguente riduzione dell’inquinamento. Il fatto di restare isolati a casa sine die con soltanto il mezzo busto superiore visibile vestito non fa a mio avviso parte delle cose intelligenti perché rischia alla lunga di provocare un abbrutimento collettivo foriero solo di conseguenze nefaste (già esistono vari studi psicologici che stimano i potenziali danni della rinuncia alla socialità).
E Cavalletti in tutto questo cosa c’entra? E Roma? E il Trieste-Salario? Anche noi, anche il nostro splendido enclave è e sarà impattato da questa rivoluzione: non possiamo che accettarlo e cercare di sfruttarne i lati positivi. Il commercio al dettaglio, di vicinato come talvolta diciamo, è senza dubbio a rischio ma non tanto per lo smart working che troverà un suo equilibrio e porterà a mio avviso più benefici che problemi, quanto per i diversi modelli di consumo e per la carenza di crescita economica. Ma anche qui non si possono fare battaglie contro i mulini a vento. Inutile illuderci di tornare indietro quando il mondo va sempre e solo avanti.
Bisognerà reinventarsi. Bisognerà dare alle persone il piacere di uscire. Bisognerà che il consumatore trovi più bello andare in libreria che comprare il libro su Amazon, fare la spesa piuttosto che ordinarla. Dovrà sempre più prevalere la dimensione di socialità. Se le persone non andranno più in ufficio dovranno comunque mangiare e magari lo faranno nel bar sotto casa. Se non sprecheranno due ore in spostamenti inutili avranno due ore in più per andare in palestra o dal parrucchiere. Se le aziende avranno meno bisogno di spazi fisici nei quartieri più centrali e terziarizzati si potrebbero liberare spazi e ridurre i costi consentendo un ritorno della cittadinanza che potrebbe restituire vita a quartieri che finiscono di vivere alle cinque.
Insomma io sono convinto che domani sarà meglio di oggi, che è stato meglio di ieri. Il mondo migliora sempre. Non bisogna avere paura dello smart working che è solo un aspetto del progresso tecnologico che tanti benefici ha portato e tanti ancora ne porterà. Quello di cui il paese e la città hanno bisogno sono investimenti per rilanciare il ciclo economico. L’ammodernamento e la trasformazione in smart cities è un’occasione in tal senso.
#ilmondoin200parole
(Guido Cutillo è un economista, dirige l’Osservatorio Executive Compensation e Corporate Governance della Luiss ed è partner Ernst & Young)