Prati | La Storia

8 aprile 2011, spari in via Col di Lana. L’omicidio di Roberto Ceccarelli

di Sara Fabrizi

È l’8 aprile 2011, intorno alle 20.30. Fuori dal caffè Vanni, seduti ai tavoli, ci sono decine di clienti che si godono la loro cena all’aperto. Sembra una tranquilla sera di primavera, ma di qui a pochi istanti, l’impressione di normalità si infrange. All’improvviso, si sentono echeggiare alcuni spari. Lungo la strada, si vede un uomo fare alcuni passi, barcollando, prima di accasciarsi sull’asfalto, vicino al teatro delle Vittorie. Si tratta di Roberto Ceccarelli, 45 anni, imprenditore. Un colpo di pistola l’ha raggiunto al volto, senza lasciargli scampo.

L’uomo è piuttosto noto alle forze dell’ordine. Ceccarelli, infatti, risulta coinvolto in diverse inchieste per truffa e riciclaggio, tra le quali spicca l’indagine sulla Sanità nel Lazio, ribattezzata “Lady Asl”. Un enorme scandalo a base di tangenti, che ha condotto in carcere diversi manager e politici. Si parla di affari sporchi e di legami con la malavita romana, in particolare con la Banda della Magliana. Di conseguenza, si indaga in questa direzione.

Due giorni dopo, sembra esserci una svolta nel caso. Un uomo si presenta spontaneamente in questura, accompagnato da un legale. Si chiama Attilio Pascarella, ha 70 anni. “Gli ho sparato, poi sono fuggito, ho gettato la pistola nel Tevere” dichiara agli agenti, assumendosi la responsabilità dell’omicidio di Ceccarelli. Il movente? Un debito da migliaia di euro non onorato.

Pascarella faceva da prestanome per l’imprenditore. È finito in quel losco giro per disperazione. Ha bruciato tutti i risparmi di una vita scommettendo sui cavalli. Un vizio che l’ha letteralmente rovinato, facendolo finire in mezzo a una strada. Aveva bisogno di soldi, per questo si è lasciato convincere da Ceccarelli, mettendosi al suo servizio. A un certo punto, però, il suo “datore di lavoro” ha smesso di pagare. È questo, a suo dire, ciò che lo ha spinto a uccidere.

La confessione, tuttavia, non convince appieno gli inquirenti, che continuano a investigare. Pascarella finisce in manette. Con lui, però, viene fermato anche il nipote, Daniele Pezzotti, 35 anni. L’ipotesi è che l’anziano abbia voluto addossarsi la colpa del delitto per coprire il giovane, ritenuto il vero killer. In sede giudiziaria, tuttavia, il ragazzo viene assolto. Egli avrebbe soltanto assistito all’omicidio, commesso in prima persona dallo zio, in un gesto d’impeto. Pascarella, riconosciuto colpevole, viene condannato a 14 anni.

La vicenda è raccontata anche nel volume di Typimedia Editore “La Storia di Prati”.

GUARDA: Come acquistare “La Storia di Prati”

Sostieni RomaH24 Sostieni RomaH24
grazie