13 Aprile 2020 - 9:43 . Della Vittoria . Personaggi

Innovazione, libri e contest: i giorni del Covid-19 nel racconto di Lorenzo Vanni

Vanni
Vanni

“Dobbiamo pensare a un nuovo contratto sociale. Quello su cui si fondava la nostra vita prima di questa pandemia è fallito. Sanità e istruzione non devono più essere delle voci iscritte a bilancio, come se lo Stato fosse un’impresa”. C’è chi durante questa quarantena si sta deprimendo. E poi c’è Lorenzo Vanni. È lui l’anima di uno dei posti più noti di Roma. Lì in via Monte Zebio, proprio accanto al teatro Manzoni, ogni giorno prima della diffusione del Covid-19 si davano appuntamento centinaia di persone. Dai dirigenti della Rai – il cavallo di viale Mazzini è alle spalle di Vanni – ai ragazzi che si sedevano ai tavolini fuori dal locale per uno spritz. Vanni però non è semplicemente un ristorante o un bar, di cui Lorenzo è direttore generale. Vanni è un’istituzione, un vessillo, un punto di riferimento per Prati. Uno di quelli di cui adesso sentiamo tanto la mancanza. “Imprenditore e innovatore”, c’è scritto sulla sua bio di Linkedin. Manca “pensatore”. Lorenzo Vanni è un Hobbes 2.0, il filosofo inglese che nel ’600 teorizzò il patto sociale: gli individui devono rinunciare a qualcosa, pur di dare vita a uno Stato.

Lorenzo Vanni a casa sua, in questi giorni di quarantena

Vanni, perché il modello di Stato attuale non funziona più?

“È schiavo della finanza, ragiona come un’impresa. Questa tragedia ha messo a nudo tutti i suoi limiti. Per essere davvero democratico, uno Stato dovrebbe fornire delle tutele e dare delle garanzie ai cittadini. Invece, io continuo a sentire parlare di eurobond o di Mes (il Meccanismo europeo di stabilità, ndr) come soluzioni per sanare i bilanci. Istruzione e sanità – i pilastri del nostro contratto sociale – non possono essere considerate delle passività. Per quanto riguarda l’istruzione, dovrebbe figurare tra i crediti formativi di una nazione. È un investimento per la crescita del Paese. Ed eliminandola dalle voci di spesa, l’Italia si sgraverebbe di circa 65 miliardi annui da portare a sopravvenienze attive”.

E qual è invece la sua riflessione su un’impresa vera, la sua?

“Io dovrò capire sin da ora cosa fare per tutelare i miei dipendenti. Sono più di cento. Il mio pensiero va a loro e alle loro famiglie. Insieme alla Cgil, abbiamo attivato gli strumenti messi a disposizione dai decreti. Il mio lavoro in questi giorni è stato questo”.

Quali strumenti?

“Il Fis, il Fondo integrativo di solidarietà. Poi, da imprenditori, abbiamo la necessità di comprendere cosa faremo quando riapriremo. Se non si troverà un vaccino, difficilmente le persone potranno tornare ad assembrarsi. La gente dovrà restare a distanza. Il problema riguarderà non solo Vanni, ma tutti i ristoranti, i teatri, i cinema e gli stadi. Mi chiedo quindi come riusciremo a gestire non solo la situazione presente, ma anche quella futura. Rischiamo, seriamente, di perdere parecchi posti di lavoro”.

Riesce a dormire?
“Le mie notti sono sempre state travagliate. Certo, questo è davvero un momento particolare. Passo le ore a capire come poter riconvertire il locale. Mi auguro di non dover fare dei tagli. Ma se ci saranno delle limitazioni sulle distanze e sul numero di tavoli, certe riduzioni saranno inevitabili. Dovremo fare i conti anche con la diffidenza delle persone.  Sarà capitato anche a lei di scostarsi, quando per strada incontra qualcuno. Sa cosa vuol dire per un posto come il nostro, dove si andava per l’aperitivo?”.

 Da manager, quale giudizio dà delle misure messe in campo dal governo per le aziende?

“Negativo. Non si è detto nulla sulle bollette e sui canoni di locazione e si è detto poco sulle imposte. Se domani devo riaprire, e se – come immagino – gli introiti non saranno più quelli di prima, io come farò a pagare quelle tasse che oggi sono sospese?”.

Come valuta l’ipotesi di concedere delle zone franche ad alcuni settori dell’economia, dove la sospensione della tassazione è prolungata?

“La parola sospensione mi mette paura. Significa che domani qualcuno verrà a chiedermi qualcosa. Qui va cassata la parola “sospensione”. Stiamo vivendo un dramma. Uno Stato che supporta i propri cittadini deve abolire la tassazione per tutto questo periodo di inattività”.

Lei è passato da una vita iperattiva alla quarantena. Preoccupazioni a parte, come trascorre le sue giornate?

“Mi sveglio tra le 8 e le 8.30, faccio colazione e ogni tanto pratico dello sport dentro casa. Vorrei dare una mano alla mia compagna, Francesca, ma non sono bravo nelle faccende domestiche. Leggo, ma solo libri. Ora ho tra le mani “La teoria del tutto raccontata da te”, di Igor Sibaldi (Salani editore, ndr). Ritengo i quotidiani lontani dalla realtà. La gente non ha bisogno di sapere quante persone muoiono di Covid-19, ma quali soluzioni ci sono per la propria vita. Poi mi sono inventato un contest”.

Un contest?

“Si chiama “Io canto da casa e non solo”. Ho fatto un accordo con Radio Italia Anni 60. Chi si vuole distrarre, ci manda la sua performance e noi la pubblichiamo su un canale YouTube e su una pagina Facebook che abbiamo aperto apposta. In palio ci sono la possibilità di incidere un brano inedito che sarà diffuso da Radio Italia Anni 60, delle borse di studio per corsi di musica e di ballo, più alcuni premi che offriremo come Vanni. Io non riesco a stare mai fermo”.