Prati | Fabiana Sargentini

Sargentini: “Io e il Covid-19, tra paure e nuovi progetti”

di Daniele Petroselli

È abituata a raccontare il mondo con la videocamera, ma anche con la sua penna. Fabiana Sargentini a Prati è di casa. E sta vivendo, come tutti, questa nuova ondata di Covid-19 con apprensione: “È un periodo complicato. Questa estate siamo stati sin troppo spensierati, l’idea di riaprire le frontiere è stata un errore. La riapertura di locali, discoteche, ha permesso al virus di tornare a circolare di nuovo. La Sicilia per esempio sembrava Covid-free in estate e sembravano tutti poco preoccupati, invece ora la mia amica che è lì mi parla di una situazione preoccupante. Si sta male, c’è ormai una vera ossessione collettiva. Mio figlio fa le medie e tre classi sono finite in quarantena e questo aumenta lo stress”.

Nata a via del Babuino, a sette anni si è trasferita nel quartiere, che frequenta ancora oggi: “Abito dall’altro lato del ponte, dietro l’Ara Pacis, da anni. Ma mia madre è a lungotevere dei Mellini e sono sempre tra le stradine dove sono cresciuta”. E vedere le strade vuote durante il lockdown è stato davvero un colpo al cuore: “L’unico posto dove andavo, oltre ad andare al supermercato, era casa di mia madre. Noto ancora però che ho di fronte un quartiere fantasma. C’è un buio diverso”.

Da anni Fabiana Sargentini ha aperto un blog, Femminafolle, tra i più letti del Web

Nel suo blog Femminafolle, tra i più letti nella Rete, dal lockdown in poi il fattore Coronavirus ha inciso molto. Così come nelle sue tante collaborazioni: “Già sul Manifesto, dove scrivo, fin da marzo ho tenuto un diario della quarantena – racconta la Sargentini -. Ho partecipato anche a un ebook dal titolo “L’ultimo sesso al tempo della peste“, dove ho raccontato una storia particolare ambientata in un periodo molto simile a questo. La mancanza di possibilità di baciarsi è la cosa più triste di tutte, un pò come descrivo nel mio racconto. L’altro ora viene visto come un nemico, piuttosto che una persona da scoprire. Si cambia marciapiede ora per timore di essere troppo vicini. Il fatto di guardarsi in cagnesco e l’impossibilità di avere un incontro casuale è molto triste”.

Un momento questo che l’ha portata lontana dalla cinepresa ma l’ha fatta tornare prepotentemente su un’altra sua passione: “L’isolamento mi ha riavvicinato alla scrittura. Il documentario ha bisogno di un confronto tra più persone, che non è possibile. Ho fatto delle piccole cose con lo smartphone, ma la creatività è stata quasi bloccata. È tutto così angosciante. O racconti la realtà, e sprofondi in un’angoscia ancor più cupa, o no. Per questo ho preferito riprendere progetti messi in pausa. La cosa migliore da fare è evadere, perché se siamo prigionieri qui, con l’immaginazione puoi essere ovunque“.

Certo è che dopo mesi di distanza, il virus non sembra averci cambiato in meglio come si ipotizzava. Ma forse qualcosa di buono c’è: “Finchè non se ne esce, non ci può migliorare. L’unico fatto positivo è l’aver capito che ci basta poco per essere felici e che il segreto sta nelle piccole cose. Tutto quello che si dava per scontato, non lo è più. O almeno non dovrebbe esserlo”.

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