8 Maggio 2022 - 19:33 . Cronaca
Dopo il caso di peste suina a Roma, il sottosegretario Costa: “Pensiamo ad abbattimenti dei cinghiali. Ce ne sono troppi”
di Daniele Magrini
Sono 69 i casi di peste suina africana rilevati in Piemonte e 44 quelli in Liguria. A questi dati, pubblicati dal Ministero della Salute e aggiornati al 5 maggio, si aggiunge il caso del cinghiale infetto ritrovato nei giorni scorsi a Roma, nel Parco dell’Insugherata, tra la via Trionfale e la via Cassia.
Segno di una migrazione geografica del virus che ha superato barriere e misure di prevenzione. I rischi di un’escalation che colpisca i 50mila suini presenti solo nel Lazio è evidente, anche se bisogna sempre ricordare che la peste suina africana non ha effetti sull’uomo. Ma il pericolo, per gli allevamenti di suini, é enorme: a pericolo ormai deflagrato, mentre i cinghiali scorrazzano per Roma, da Piazza Verbano a Villa Ada, e i cittadini non vedono differenze nella gestione dell’emergenza fra la sindaca Raggi e il sindaco Gualtieri, si comincia a parlare di “depopolamento selettivo”. Lo ha fatto il Commissario straordinario all’emergenza peste suina africana, Angelo Ferrari, al termine delle riunione dell’unità di crisi. Quando ormai, per parafrasare il detto contadino che citava buoi e stalle, i cinghiali sono ormai abbondantemente usciti dai boschi.
E ieri anche un membro del Governo, il sottosegretario alla Salute Andrea Costa, intervistato a “Mi manda Rai tre”, ha parlato in modo chiaro: “I cinghiali hanno invaso le nostre città, i nostri parchi, i nostri quartieri. Credo sia il momento opportuno per pensare anche a un piano di selezione e di abbattimento importante, che riduca il numero e la presenza dei cinghiali. Credo che, al di là delle misure protettive, come recinzioni e quant’altro, che si stanno mettendo in campo per affrontare il problema peste suina, sia necessario fare una riflessione per cogliere l’occasione di ridurre sensibilmente la popolazione dei cinghiali”.
Il virus saltato dal Piemonte al Lazio
Parole nette, ma che certamente provocheranno reazioni dal mondo ambientalista. Intanto, però, un quesito incombe: come ha fatto la peste suina africana ad arrivare nel Lazio, prima che nelle regioni confinanti con i territori settentrionali del primo focolaio? Solitamente le aree in cui la peste suina africana si propaga sono contigue. I cinghiali selvatici, che sono la specie di maggiore diffusione della malattia, transitano da una zona all’altra, trasportando il virus quando sono infettati.
Dal momento in cui è stato rivenuto il primo caso a Ovada, in provincia di Alessandria nel gennaio scorso, il Ministero della salute ha emanato alcune ordinanze e attivato l’unità di crisi. L’area di infezione era stata immediatamente circoscritta ed era relativa a 114 comuni tra Piemonte e Liguria. Nel corso dell’ultima riunione convocata dal Commissario straordinario per la gestione dell’emergenza Peste suina africana, Angelo Ferrari, l’11 marzo scorso, si era fatto il punto anche sull’azione di controllo operata nelle regioni al confine con il focolaio piemontese-ligure: Lombardia, Emilia Romagna e Toscana. Alla data del summit risultava esaminato un totale di 406 carcasse di cinghiali e 192 di suini: tutti i controlli avevano dato esiti negativi.
Poi, quasi all’improvviso, salta fuori il caso della peste suina africana nel Parco dell’Insugherata ed è evidente che le misure restrittive nei territori delle regioni a nord di Roma non sono bastate a impedire la diffusione del virus. Ora l’ordinanza della Regione Lazio delimita un’area “infetta” provvisoria di circa cinquemila ettari, tra cui una parte del Parco di Veio, alcune aree di competenza di Roma Natura, un segmento dell’Insugherata, il Parco del Pineto e la riserva di Monte Mario. Inoltre, dispone misure stringenti, divieti ed una zona di attenzione per bloccare l’epidemia, Fra i provvedimenti c’è anche la recinzione dei cassonetti dei rifiuti. Non lasciare rifiuti alimentari in aree accessibili ai cinghiali è una priorità, vista l’antropizzazione dei cinghiali selvatici di cui a Roma ormai si hanno esempi continui.
Basterà l’ordinanza del presidente Zingaretti a limitare i danni della peste suina africana, che può provocare enormi danni agli allevamenti suini – solo nel Lazio sono 50 mila i casi a rischio – e problemi anche agli animali domestici? La speranza, soprattutto degli allevatori, è che l’intervento sia sufficiente. Ma quali sono state le misure che hanno evitato la diffusione della peste suina africana nelle regioni che erano più a rischio del Lazio, visto che in Toscana e Umbria non è stato rilevato alcun caso di infezione?
In Toscana e Umbria ci si è mossi per tempo
Intanto ci si è mossi immediatamente. Da subito, nel gennaio scorso, nella provincia apuana, prima iniziativa di questo genere in Italia, l’assessorato regionale al diritto alla salute e quello all’agricoltura e alla caccia hanno avviato un’operazione di sorveglianza passiva grazie alla quale gli operatori, con apposito kit distribuito dalla Asl per operare in biosicurezza, hanno avuto il compito di cercare e segnalare sul territorio carcasse di cinghiale e analizzarle. L’obiettivo era il tempestivo riscontro dell’infezione, che non è stata rilevata nelle centinaia di carcasse controllate. Ma la Regione Toscana ha attuato anche altre misure. Le ricorda un comunicato degli uffici regionali: ”Il recente bando da 4 milioni di euro dell’assessorato all’agricoltura, destinato alla realizzazione di idonee recinzioni in grado di limitare le interazioni fra i suini allevati e gli ungulati selvatici, principalmente cinghiali, potenziali vettori di peste suina africana. L’estate scorsa, su iniziativa dell’assessorato al diritto alla salute, è partito un percorso di approfondimento sulla sorveglianza e la prevenzione della diffusione della peste suina africana, con tutti i soggetti interessati. A cominciare dai corsi di formazione organizzati dall’assessorato al diritto alla salute in collaborazione l’assessorato all’agricoltura e le Asl toscane, su base provinciale, rivolte a cacciatori, ATC e polizie provinciali. Insieme al settore faunistico regionale, Asl e Istituto zooprofilattico sono stati poi preparati corsi di informazione e formazione rivolti ai capisquadra delle squadre di caccia al cinghiale e, sempre in estate, si sono tenuti corsi di informazione destinati agli allevatori e ai Consorzi di tutela del marchio”.
In Umbria l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche ha da tempo realizzato una vera e propria mappa del rischio di infezione da peste suina africana, con una graduazione di pericolo in cui solo 4 comuni dell’Umbria sono stati inseriti come territori ad alto rischio – Perugia, Gubbio, Narni, Castiglione del Lago – 4 a medio rischio e ben 84 a basso rischio.
Adesso, a Roma e nel Lazio, è tempo di misure non più solo di prevenzione. Costa ha detto che a partire da domani, lunedì 9 maggio, il Commissario Ferrari avrà a disposizione 10 milioni di euro per installare barriere protettive. Ma ci vorrà di più: è anche tempo che i cittadini osservino elementari norme di civiltà: gettare i rifiuti alimentari fuori dai cassonetti attira i cinghiali. Fino nel cuore della Capitale.