8 Maggio 2022 - 14:30 . Cronaca

“C’è un protocollo contro la peste suina. Seguire le regole senza allarmismi”. L’appello di Pezzoli, presidente degli agronomi di Roma

Cinghiali sulle strade di Roma. Foto di repertorio
Cinghiali sulle strade di Roma. Foto di repertorio

di Daniele Magrini

L’allarme per il primo caso di peste suina a Roma è scattato dopo il rinvenimento di un cinghiale morto nel Parco dell’Insugherata. Il rischio è quello che la malattia si estenda ad allevamenti di suini. “In un momento come quello che stiamo vivendo — dichiara Flavio Pezzoli, presidente dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali di Roma e Provincia — non si possono fomentare allarmismi, occorre prudenza. Certo, la peste suina è una questione molto seria che va affrontata con la massima attenzione e la collaborazione di tutti. Esiste un protocollo preciso stabilito dal Commissario straordinario per la peste suina africana e a questo, ogni ente competente in materia, deve fare riferimento. Dobbiamo evitare — aggiunge Pezzoli — di fare nascere pericolosi allarmismi che, creando il panico nella cittadinanza, rischiano di mettere in difficoltà tutto il sistema agroalimentare della città e della Regione”.

Intanto è importante conoscere la malattia. La peste suina è causata da un virus della famiglia Asfaviridae, genere Asfivirus, incapace di stimolare la formazione di anticorpi neutralizzanti. Questa caratteristica rappresenta l’ostacolo più importante alla preparazione di un vaccino, che attualmente non è disponibile in commercio.

“I sintomi principali negli animali colpiti sono: febbre, perdita di appetito, debolezza del treno posteriore (arti, ndr) con conseguente andatura incerta, difficoltà respiratorie e secrezione oculo-nasale, costipazione, aborti spontanei, emorragie interne, emorragie evidenti su orecchie e fianchi. La presenza del virus nel sangue (viremia) dura dai 4 ai 5 giorni; il virus circola associato ad alcuni tipi di cellule del sangue, causando la sintomatologia che conduce inevitabilmente al decesso dell’animale, spesso in tempi rapidissimi. Gli animali che superano la malattia — sottolineano i documenti del Ministero della Salute — possono restare portatori del virus per circa un anno, giocando dunque un ruolo fondamentale per la persistenza del virus nelle aree endemiche e per la sua trasmissione”.

PREVENZIONE

La malattia si diffonde direttamente per contatto tra animali infetti oppure attraverso la puntura di zecche. La trasmissione indiretta si verifica attraverso attrezzature e indumenti contaminati, che possono veicolare il virus, oppure con la somministrazione ai maiali di scarti di cucina contaminati, pratica vietata dai regolamenti europei dal 1980, o smaltendo rifiuti alimentari, specie se contenenti carni suine, in modo non corretto. Laddove l’infezione si manifesta, come in Italia sin dal gennaio scorso,  “fondamentali — secondo il ministero della Salute — sono non solo l’individuazione precoce dell’ingresso della malattia, ma anche la delimitazione tempestiva delle zone infette, il rintraccio e il controllo delle movimentazioni di suini vivi e dei prodotti derivati, le operazioni di pulizia e disinfezione dei locali e dei mezzi di trasporto degli allevamenti infetti, l’effettuazione delle indagini epidemiologiche volte ad individuare l’origine dell’infezione”.

Tutto diventa molto più difficile, sul piano della prevenzione, quando la peste suina “viaggia” tra animali selvatici: da cinghiale a cinghiale.

Come avvenuto in Italia negli ultimi mesi, senza possibilità di frenare il contagio.

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