Parioli | La storia

27 aprile 1937, alla clinica Quisisana muore Antonio Gramsci

di Sara Fabrizi

All’alba del 27 aprile 1937, colpito da un’emorragia cerebrale, si spegne Antonio Gramsci. A differenza di quel che credono molti, la sua fine non avviene dietro le sbarre, all’interno di un’umida cella. Quando la morte lo coglie, infatti, il grande intellettuale, leader del Partito Comunista, si trova ricoverato in un letto della clinica Quisisana, qui ai Parioli, dove spesso viene a trovarlo Tatiana, la cognata.

Le sue difficili condizioni di salute hanno consentito il trasferimento. Ma fuori dalla stanza 26, quella in cui l’hanno sistemato, ci sono sempre alcuni poliziotti di guardia. Gramsci, infatti, è un detenuto che il regime fascista non intende farsi scappare.

Il suo calvario inizia oltre dieci anni prima. La sera dell’8 settembre 1926, la polizia irrompe nell’appartamento in cui vive in affitto in via Giovanni Battista Morgagni, al Nomentano. La proprietaria dell’immobile, la signora Clara Passarge, assiste allibita al suo arresto, che avviene in totale spregio dell’immunità parlamentare di cui gode. In quel periodo, sono al varo una serie di provvedimenti liberticidi e repressivi come la soppressione dei partiti e delle associazioni contrarie al fascismo. Il regime sta mostrando il suo vero volto, quello di una dittatura che non ammette opposizione e si scaglia con violenza contro chiunque la ostacoli.

Gramsci viene condotto a Regina Coeli, dove lo chiudono in una cella di isolamento per giorni. Poi lo inviano a Ustica, al confino. In teoria, dovrebbe restare sull’isola per cinque anni. Ma il suo soggiorno dura molto meno. Dopo 44 giorni, gli mettono di nuovo le manette e lo trasferiscono al carcere di San Vittore, in attesa del procedimento penale. Il 28 maggio 1928 si apre il primo grande processo politico della storia italiana. Gramsci viene portato di fronte ai giudici del Tribunale speciale per la difesa dello Stato. È accusato di attività cospirativa, istigazione alla guerra civile, apologia di reato, incitamento all’odio di classe. Quando esce da quell’aula, su di lui è caduta una condanna pesantissima: 20 anni, quattro mesi e cinque giorni di carcere.

Ne sconterà più o meno la metà, la maggior parte nel carcere di Turi, in provincia di Bari. Secondo il codice penale, viste le sue precarie condizioni di salute, dovrebbe poter beneficiare della libertà condizionale. Soffre del morbo di Pott fin dall’infanzia, ha la tubercolosi polmonare e diversi altri disturbi che lo affliggono. Ma soltanto nel novembre del 1933, dopo anni di sofferenze terribili, si riesce a ottenere un trattamento più umano per lui.

Viene trasferito nell’infermeria del carcere di Civitavecchia per finire poi in una clinica di Formia. Il ricovero alla Quisisana arriva il 24 agosto 1935, quando ormai la situazione è troppo grave perché ci possa essere qualche speranza di miglioramento.

 

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