Flaminio | La storia

17 febbraio 1816: in piazza del Popolo viene giustiziato un oste pluriomicida

di Sara Fabrizi

Nei primi anni dell’Ottocento, dove sorge oggi lo stadio Flaminio c’è l’osteria di Carlo Castri. Nelle belle giornate di primavera è molto frequentata e lui guadagna bene. Ma quando le giornate si accorciano e piove, in pochi si spingono fino qui. Carlo non ha una buona reputazione. Della sua storia si trova traccia nelle Memorie di un carnefice scritte da lui stesso (1891), un testo romanzato tratto dagli appunti di Giovanni Battista Bugatti, meglio conosciuto come maestro Titta, il boia di Roma.

A quanto pare, Carlo Castri è molto attratto dalle donne, di qualsiasi età. Le malcapitate che si aggirano nei dintorni, magari per raccogliere la cicoria, finiscono spesso nelle sue mani. Se accondiscendono ai suoi voleri, sono salve. Altrimenti, Carlo diventa un bruto. Pare che più di una sia stata trascinata in una grotta, non tornando mai indietro. Ma l’oste è anche un vero brigante. Per sopperire ai magri guadagni della cattiva stagione, di notte si apposta per strada e aggredisce viandanti e cacciatori. Seppellisce i loro corpi nella macchia, dove nessuno possa trovarli. Un giorno, però, viene scoperto. 

Massacra due nobili signori, zio e nipote, che dopo essere stati a caccia si sono fermati da lui. Ma nel momento in cui cerca di far sparire i corpi viene preso da uno strano delirio e sviene. Alcuni contadini trovano i resti dei cacciatori e corrono ad avvertire le autorità.

Castri è poco lontano, privo di sensi, con la refurtiva addosso. Lo portano via legato su un carretto, per poi chiuderlo in prigione. Qui, ancora in preda al delirio febbrile, comincia a confessare altri delitti commessi in passato. Lo hanno convinto che con la sincerità potrà guadagnarsi la grazia. Il 17 febbraio 1816 lo portano in piazza del Popolo.

La sentenza è morte per impiccagione e squartamento.

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