11 Giugno 2020 - 8:40 . Flaminio . Ambiente
Ecco perché il Tevere non è più biondo: tutti i veleni contenuti nel nostro fiume
Veleni vietati dalla legge, inquinanti tossici, batteri fecali e altri miscugli dal nome complicato ma dagli effetti visibili. Sull’ecatombe di pesci del Tevere che si è consumata a fine maggio (centinaia le carcasse che galleggiavano tra Ponte Milvio e Ponte Sant’Angelo) stanno conducendo un’indagine sia la Asl Roma 1 (sui pesci), sia l’Agenzia regionale per la protezione ambientale (sull’acqua). I risultati, secondo il rapporto dell’Arpa reso pubblico il 9 giugno, non sono definitivi e bisognerà attendere l’esito di analisi più approfondite e incrociarle con i dati dell’Asl.
Intanto, nel documento, sono elencati gli inquinanti che appestano il nostro fiume che da biondo, come lo ricordano i nonni, è sempre più livido. I campioni sono stati prelevati l’1 giugno nelle vicinanze del Ponte Vittorio Emanuele. Tra gli inquinanti, i tecnici hanno rilevato la presenza di Clothianidin, un pesticida dichiarato fuori legge nel 2018 poiché altamente tossico per le api. Non è detto però che sia stato di recente sversato nel fiume, secondo la relazione questo antiparassitario è difficilmente biodegradabile e può rimanere a lungo legato all’ecosistema. L’Arpa fa sapere che la concentrazione rilevata di Clothianidin (0,67 microgrammi per litro) non è tale da giustificare la recente moria della fauna ittica.
Dalle provette, si è scoperta l’esistenza di un altro pesticida tossico per i pesci, la Cipermetrina, uno dei prodotti più utilizzati per la lotta agli insetti, in particolare blatte, mosche e zanzare. Anche in questo caso, però, i livelli riscontrati (0,014 microgrammi per litro) della sostanza disciolta nell’acqua non raggiunge la soglia d’allarme (“i valori dovrebbero essere molto più elevati”) anche se sono maggiori rispetto alla media dei monitoraggi periodici dell’Arpa.
Un altro elemento di rischio, sempre non definitivo, è legato alle forti precipitazioni dei giorni antecedenti alla moria dei pesci. Il particolato atmosferico, proveniente dalle strade dilavate dalla pioggia, al contatto col fiume avrebbe scatenato una reazione e consumato velocemente l’ossigeno; inoltre le particelle del particolato avrebbero ostruito le branchie dei pesci fino a “soffocarli”.
Come non bastasse, dalla relazione emerge un’importante contaminazione fecale dell’acqua testimoniata dalla presenza di escherichia coli ed enterococchi. In 100 millilitri sono stati documentati 7800 unità formanti colonia (l’unità di misura della concentrazione batterica) di escherichia coli, un batterio altamente dannoso anche per l’uomo in quanto può scatenare infezioni mortali. Nell’acqua che beviamo, la legge impone un valore di Ufc per 100 millilitri pari a zero.
Il valore degli enterococchi registrato è invece pari a Ufc 1100. Se il nostro fiume fosse considerato dalla legge acqua di balneazione, secondo la legge sarebbe “fortemente inquinato” in quanto presenta valori di enterococchi intestinali maggiori di 400 Ufc/100 ml e di escherichia coli maggiori di 1.000 Ufc/100ml.
Tutti questi dati, è bene ricordarlo, non rappresentano la pistola fumante che spiega la moria dei pesci, almeno fino a quando non saranno incrociati con le verifiche sulle carcasse. Possono però far intuire perché il Tevere, più che essere biondo, ricorda ormai un livido fiume dantesco.