11 Aprile 2020 - 12:46 . Trieste-Salario . Personaggi

Spesa, controlli e volontariato, i giorni del Covid-19 nel racconto di Paolo Peroso

Paolo Peroso
Paolo Peroso

“Io sono determinato. Non mi faccio trasportare nel limbo del tanto finirà tutto. Quando ripartiremo – perché ripartiremo – dovremo cominciare una nuova vita”. In questo caleidoscopio di esistenze ai tempi del Coronavirus, quella di Paolo Peroso è una storia di resistenza. Voce dell’etere laziale, 59 anni, Peroso è l’iperattivo presidente dell’associazione Amici di Porta Pia, dove possiede un’oreficeria. Via Ancona, via Alessandria, via Mantova sono deserte per le disposizioni del governo sulla quarantena. Ma nel silenzio, c’è qualcuno che controlla. Un referente, un interlocutore, una stella polare. Si chiama Paolo Peroso. “Assieme a un’altra persona, monitoriamo le vetrine della nostra zona. Facciamo i turni. Quando dobbiamo uscire di casa, ne approfittiamo per verificare che sia tutto ok”.

Peroso, come sta vivendo questo momento storico?

“In questi giorni ci stiamo confrontando con altri amici commercianti sul presente e sul futuro. C’è chi si sta facendo prendere dalla preoccupazione e chi dalla rabbia”.

Qual è la situazione nel quadrante di Porta Pia?

“Noi commercianti viviamo dell’indotto giornaliero. Non faccio nomi, ma c’è chi ha già deciso di chiudere. Non hanno le risorse per coprire le spese degli affitti, per pagare le utenze e le tasse, come quella per l’occupazione del suolo pubblico. Come si può andare avanti a forza di prestiti? Magari, le aziende a gestione familiare avranno una marcia in più. Ho sentito dire a un economista, di cui non ricordo il nome: “L’Italia ha un sistema burocratico vecchio di cinquant’anni e questo frenerà la ripartenza”. Ha ragione”.

Burocrazia. Il decreto Cura Italia poteva essere scritto meglio?

“È confuso. In assoluto, abbiamo migliaia di leggi, leggine e commi che non permettono una chiara lettura al cittadino. Per comprenderle, servono professori di fisica quantistica. Pensi, è complicato fare persino i volontari. Con il gruppo che coordino, prima di fare qualsiasi cosa devo studiare una serie di norme. Tra queste anche quelle sulla trasparenza, importantissima in tema di donazioni. Bisogna prestare grandissima attenzione. Comunque, oltre al caos legislativo, abbiamo un problema endemico. Il nostro è un Paese involuto, che non progredisce, che deve dipendere sempre dagli altri. Dall’Europa. Da soli, non siamo forti abbastanza”.

E la sua oreficeria lo è abbastanza da reggere all’urto di questa chiusura?

“L’orizzonte è cupo. Non siamo un bene primario: vendiamo il lusso, siamo diventati un vezzo. Per rimettere in moto l’interesse e l’entusiasmo che sono alla base di questa tipologia di acquisti, ci vorranno mesi. E si accumuleranno i costi”.

Ha fatto una stima dei danni?

“Se riaprirò a maggio, a fine anno avrò fatturato il 60% in meno rispetto al 2019. Da gennaio a oggi, non ho lavorato. Il nostro settore era in crisi già da un paio d’anni, per tanti motivi. Eravamo tra i migliori nel mondo per la creatività, nella produzione dei gioielli. Adesso non ci resta più nemmeno quel primato”.

Lei dovrà riaprire per forza, ma c’è chi – diceva – ha alzato bandiera bianca.

“Tre ristoranti nel quartiere stanno pensando di chiudere. Alcune attività erano in difficoltà già da tempo. Questo virus è stato il colpo di mannaia a un Paese già debole. Non eravamo pronti ad affrontare una guerra”.

Come trascorre le sue giornate in quarantena?

“Ho appena finito di innaffiare i fiori. Così, almeno loro non muoiono. La mia vita non è cambiata: è aumentata. Per esempio, se prima capitava che ogni tanto lavassi i piatti, ora lo faccio tutti i giorni. Mi occupo di quei dettagli che prima non riuscivo a curare. Avevo poco tempo. Ho subito tanti cambiamenti personali. Ho riflettuto molto. Questa crisi mi ha aperto di più la mente e mi ha reso più determinato”.

Ci racconta qual è la sua giornata tipo, adesso?

“Famiglia, casa, giardino. Esco per fare la spesa e per andare in farmacia. Trascorro diverse ore davanti al computer per coordinarmi con gli altri commercianti. Poi c’è il volontariato”.

Con l’associazione Amici di Porta Pia, assieme ad altri comitati di quartiere di Roma avete portato dei generi alimentari ad alcuni ragazzi stranieri a piazza Mancini. Che in cambio hanno pulito la piazza.

“Avevo stretto un patto con loro. Un patto che hanno mantenuto. Ricevono dei pasti cucinati in casa da noi. E loro ricambiano tenendo un angolo della città pulito, con sacchi, guanti e rastrelli che forniamo noi. È una catena umana, composta da tanti anelli. Quegli anelli sono la brava gente. Sono persone che hanno voglia di fare. Di aiutare. Ecco, questa catena la stiamo costruendo adesso. E sopravviverà all’emergenza Coronavirus”.

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