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Quel rapporto così speciale tra il Trieste-Salario ed Amatrice
di Daniele GalliQuesto non è un sabato qualunque per Roma. E non lo è soprattutto per il Trieste-Salario. Alle 3.36 di tre anni fa, un sisma di magnitudo 6.0 sulla scala Richter scosse violentemente le mura di milioni di abitazioni. Erano quelle di Roma, erano tutte quelle del centro Italia. Amatrice, Accumoli, Arquata e Pescara del Tronto furono rase al suolo. Morirono 299 persone. Amatrice perse in pochi secondi il 90% degli edifici residenziali e il 95% delle attività produttive. “Amatrice non c’è più”, disse il suo sindaco Sergio Pirozzi. Il sindaco per antonomasia della perla dei Monti della Laga.
Oggi Amatrice prega. Prega forte, prega a voce alta affinché qualcuno – non tanto nostro Signore, quanto i palazzi romani, quelli del potere – ascoltino il dolore di una comunità che mille giorni dopo si sente abbandonata. In tre anni qui non s’è fatto quasi nulla. Via le macerie da Amatrice, restano quelle nelle decine e decine di frazioni dell’undicesimo Comune del Lazio, per estensione territoriale. Stanno ricostruendo una manciata di condomini e un ristorante, a fronte di migliaia di case che non esistono più.
Oggi Amatrice prega, e prega pure il Trieste-Salario. E non solo perché l’onda lunga del terremoto nel 2016 fece tremare il quartiere. C’è un legame potente tra le due comunità. Recentemente, l’associazione di Porta Pia “VagabondiInMoto” ha donato un parco giochi alla frazione amatriciana di Preta. E il Trieste-Salario ha versato un contributo di sangue al sisma. Antonio – storico titolare dell’Enoteca Graziani, in via di Santa Costanza – è una delle 239 vittime. Il suo corpo fu ritrovato sotto una montagna di calcinacci. Quelli della sua abitazione in corso Umberto I. Come quasi tutti gli amatriciani che a Roma hanno fatto fortuna con la ristorazione, aveva iniziato aprendo una vineria. Anzi, un “vini e oli”, per adottare una terminologia che profuma di anni cinquanta.
Come l’amatriciano Ettore, che possiede un ristorante a corso Trieste 129. In via Ancona 14 – curiosamente, è la stessa strada dove si trova “VagabondiInMoto” – c’è “Coriolano”. La famiglia proprietaria del ristorante – i Guerra – è di Capricchia, che con 1.106 metri è una delle frazioni più alte della conca amatriciana.
Sempre dalle parti di corso Trieste ci sono due pizzerie amatriciane molto note nel quartiere. Si chiamano entrambe “San Marino”. Quella su corso Trieste appartiene a una famiglia della frazione di Collemoresco, quella in via di San Marino è invece di Remo, originario di Scai. Un’altra frazione. Alessandro, il figlio, scavò a mani nude tra le macerie dell’indimenticato bar Baccari.
Vive a corso Trieste anche Bruno D’Alessio. Ex uomo De Agostini, ex direttore generale della famosissima “Amatrice-Configno” – per 40 anni una classica delle corse su strada – e oggi vicepresidente del Trastevere Calcio, Serie D.
Bruno è una delle anime amatriciane del nostro quartiere. Bruno è uno dei volti che ogni anno, ogni 24 agosto, alle 3.36 accende una fiaccola per illuminare la notte del suo paese. Una notte che tre anni dopo non vede ancora un’alba.