Cavour | Articoli

Quando il “Palazzaccio” processò sé stesso, vi sveliamo le curiosità di una nostra meraviglia

di Sergio Campofiorito

Amato e odiato, simbolo laico dello stato italiano, in contrapposizione all’imponenza religiosa di San Pietro. I romani, avvezzi a sminuire il potere e suoi luoghi, lo hanno subito soprannominato “Palazzaccio”, sede della Corte suprema di cassazione. L’11 gennaio 1911 fu inaugurato il Palazzo di Giustizia di piazza Cavour, mastodontica rappresentazione della monarchia sabauda, completato dopo ben 22 anni di lavori e su cui piovvero critiche simili che in quello stesso periodo colpirono anche il Vittoriano di piazza Venezia.

Tra le critiche più feroci ci fu quella di Ugo Ojetti, critico d’arte e giornalista, che lo definì “una massa di travertino in preda al tetano”. Le dimensioni elefantiache, la sua avventurosa costruzione adombrata da sospetti di corruttele sfociate nel 1912 in inchiesta parlamentare, sono all’origine del soprannome di “Palazzaccio” che ancora oggi lo accompagna. Il parlamento indagò sull’abnorme differenza tra le somme previste e quelle effettivamente spese nell’edificazione.

I costruttori sono dunque deferiti all’autorità giudiziaria e uno dei primi procedimenti svolti all’interno delle sue aule riguardava proprio i sospetti per la sua costruzione. La sventura dell’edificio non si placa, negli anni Sessanta, a causa di alcune crepe, la struttura deve essere sgomberata, si studiò persino se abbatterlo. Vinse nel legislatore la corrente conservatrice, il Palazzo di Giustizia viene restaurato e sopravvive così fino ai giorni nostri, ammantato di dicerie ma pur sempre una meraviglia di Prati.

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