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L’editoriale: Che cosa ci insegna la follia dei no vax
di Luigi CarlettiUna parola ha fatto da ponte tra il 2020 e il 2021 appena iniziato, e quella parola è “vaccino”. Perché può essere la fine dell’incubo Coronavirus. Perché può chiudere una fase emergenziale e aprirne finalmente una di ripresa. Perché può rappresentare la conferma di qualcosa che abbiamo imparato sin da piccoli: la scienza è in grado di sconfiggere il male. La scienza è la cosa migliore che l’essere umano abbia prodotto da quando abita il pianeta.
È facile supporre che questo pensiero sia condiviso tra la maggioranza delle persone. Una larghissima maggioranza, verrebbe da pensare. Ma non è così. Perché c’è una discreta fetta della popolazione italiana che il vaccino non lo vuole. Secondo alcuni studi si parla del 40 per cento e oltre. Significa che quasi la metà degli italiani rientra in quel fenomeno che è stato definito “vaccine hesitancy” (esitazione vaccinale) e che in Europa vede numeri ancora maggiori. L’eurobarometro della Commissione europea ci avverte che il 46 per cento degli italiani è convinto che i vaccini possano causare gravi effetti collaterali, e in questa “corrente di pensiero” si innestano anche i dubbi che il Covid-19 sia effettivamente pericoloso e che realmente abbia causato delle morti. In definitiva, che esista davvero.
Nel prendere atto di queste cifre ci sarebbe da darsi un pizzicotto sul braccio e chiedersi se non sia la sbandata di qualche eccentrico ricercatore, ma purtroppo il quadro è questo. E non finisce qui. Perché poi – tra i molti rivoli di questo fenomeno – c’è quello più torbido e schiumoso dei no vax, che i media continuano a definire generosamente “movimento”, ma che in realtà è solo un altro modo con cui – grazie a Internet e in particolare ai social network – riesce ad affiorare la parte più sconsiderata e irresponsabile della nostra società.
In questi giorni i no vax hanno preso di mira alcuni personaggi simbolo della vaccinazione di massa: l’infermiera dello Spallanzani, Claudia Alivernini, che per prima si è sottoposta al vaccino davanti alle telecamere, è solo uno dei numerosi obiettivi delle offese, delle accuse e delle minacce del “movimento” no-vax. L’hanno talmente bombardata che – come ha detto Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio e segretario del Pd – “Claudia è stata costretta a eliminare i suoi social: chi la sta minacciando dovrebbe vergognarsi”.
Vergognarsi…
Capisco il linguaggio del politico e i suoi “paletti istituzionali”, ma forse Zingaretti – e con lui un’intera classe politica – dovrebbero resettare il loro codice di comunicazione e fare finalmente i conti con un mondo che non è più quello in cui sono/siamo cresciuti. I politici italiani (e con loro molti giornalisti) sono ancora quelli che quando parlano di Internet, usano l’espressione “il popolo della rete”. Come se si riferissero a una popolazione lontana e dai tratti esotici che ogni tanto ci invia interessanti segnali.
Popolo della rete? Il popolo della rete siamo tutti noi perché a ogni ora del giorno – in un modo o nell’altro – siamo su Internet. Il mondo è in rete. E siccome nel mondo – come sappiamo fin da piccoli – c’è di tutto, ecco che in rete, tra tante cose belle e interessanti, ci trovi anche i truffatori, i pedofili, i terroristi e ci trovi pure i no vax.
E qui, prima che qualche anima bella invochi l’articolo 21 della Costituzione e la libertà di manifestazione del proprio pensiero, pongo la seguente domanda: ma se una o più persone si recassero sotto le finestre dello Spallanzani e gridassero all’indirizzo di un’infermiera le stesse offese-accuse-minacce che sono state scritte sui social, che cosa accadrebbe? Certo, qualcuno potrebbe anche urlargli “vergognatevi!”. Ma poi accadrebbe, semplicemente, quello che accadrebbe a chiunque di noi si dovesse rendere protagonista di un fatto del genere: denuncia e avvio di un procedimento giudiziario.
Quindi, mi chiedo, che differenza c’è con quanto perpetrato con continuità sui social?
Una differenza in effetti c’è: “Il messaggio viene inoltrato a destinatari molteplici e diversi, per esempio attraverso la funzione di forward o a gruppi di Whatsapp, su Twitter o Facebook…”.
Parole della Cassazione, che in vari pronunciamenti ha stabilito come l’offesa alla persona sia aggravata dalle potenzialità di amplificazione dello strumento Internet.
Ora, non ci voleva un genio per comprendere che Internet non può essere un luogo da “liberi tutti”, ma i vari pronunciamenti della Cassazione in questi ultimi anni avrebbero dovuto indurre il legislatore (cioè il Parlamento) a comprendere come le nostre norme siano spesso inadeguate rispetto all’attualità. Mentre noi civilmente ci confrontiamo nei luoghi deputati e sui media, e mentre – per l’appunto – liquidiamo certi episodi con sobri ammonimenti del tipo “dovreste vergognarvi”, succede che sopra le nostre teste e sotto i nostri piedi passa un fiume di informazioni totalmente fuori controllo e spesso fuori da ogni regola della civile convivenza. Le conseguenze le paghiamo ogni giorno in termini di gogne mediatiche, supplizi reiterati, bullismo di ogni genere, incitazione alla violenza.
È un fenomeno frutto dei tempi ma anche dell’inadeguatezza di un’intera classe politica che continua a parlare di “popolo della rete”. Non è un caso che le ultime elezioni le abbia vinte un movimento che molto più degli altri sapeva usare la rete. Il “popolo della rete” è entrato – legittimamente – in Parlamento, nei ministeri e a Palazzo Chigi, ma l’alfabetizzazione digitale degli italiani (penso alla scuola e alle famiglie) è lasciata al fai da te. Così abbiamo la giungla. Dove vivono popolazioni di ogni genere e non sempre pacifiche. Inclusi i no vax.