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Il ricordo: Marcello Grottesi e le ferite di Roma

di Chiara Gelato

Ho conosciuto Marcello Grottesi nel 2018, quando lavoravo alla realizzazione del volume dei “100 (+1) personaggi di Prati” per Typimedia editore.

Con la figlia Clarissa, con cui intratteneva un rapporto di simbiosi silenziosa e totale, Marcello mi aprì quella prima volta (ero con la collega Roberta Mastruzzi) le porte della sua casa assolata in via degli Scipioni. Un lungo corridoio tappezzato di opere, che più avanti avrei ripercorso, fino al luminosissimo studio ricolmo di tele cielo-terra dove avremmo avviato la nostra conversazione sulla sua vita e sul suo percorso artistico, sulla ricerca continua e ininterrotta che lo ha portato a scoprire il disegno ancora bambino (“un rifugio, una salvezza”) e il cinema poi, due linguaggi che non abbandonerà mai, fino alla fine.

Marcello Grottesi

Curiosità, gentilezza d’altri tempi, generosità, sono le prime parole che mi vengono in mente oggi ripensando a lui. Ma anche goliardia, impegno e provocazione, tornando ai tempi in cui Marcello sognava di cambiare il ruolo dell’artista nella società riportando l’arte in piazza attraverso gesti clamorosamente provocatori. Era il 1968 quando, con Paolo Matteucci e Gianfranco Notargiacomo, scenderà in piazza San Pietro lanciando giganti pillole-scultura contro la demonizzazione della pillola anticoncezionale da parte del Vaticano. O percorrerà via del Corso con una ghigliottina, annunciando la rivoluzione… Saranno anni fecondi, con la creazione del Laboratorio ’70 che poi si farà conoscere come Gruppo di via Brunetti, dal nome della strada in cui (al civico 48) prende vita lo studio Grottesi-Matteucci- Notargiacomo. A pochi passi da lì, la casa di Passeggiata di Ripetta che Marcello lascerà solo molti anni dopo, quando con l’amatissima Mariolina deciderà di “attraversare il ponte” per stabilirsi a Prati.

Già, Roma.

Marcello è tra gli artisti che nella sua ricca produzione cinematografica – 24 corti e 8 lungometraggi, tra cui Time e Il Gesto, presentati alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes – non ha mai smesso di raccontarla. La città del cuore e del tradimento: troppo amata per assistere indenni al suo disfacimento. Eppure, immancabilmente presente in ogni inquadratura. La città a cui fare comunque ritorno, anche quando – come è accaduto a Marcello negli anni vissuti in Germania – si è trovato altrove quel sostegno invano ricercato in patria.

Il percorso di Marcello si snoda tra la Trastevere dell’infanzia (siamo negli anni difficili della guerra) e della giovinezza, e la Prati della maturità, proprio a due passi dal cinema Azzurro Scipioni dove l’amico Silvano Agosti ha spesso proiettato i suoi film. In mezzo, la lunga frequentazione del centro storico di Roma, tra le gallerie d’avanguardia e il bar Rosati di piazza del Popolo. Siamo nel cuore degli anni ’60: Marcello esporrà per la primissima volta le sue opere in via del Babuino a metà decennio.

Delle tante versioni di città che hanno costellato la sua vita discorremmo quella prima volta e quella dopo ancora, quando Marcello mi chiese di tornare in via degli Scipioni per filmare una conversazione che sarebbe confluita nel suo prossimo film. Era appena l’estate scorsa. In quell’occasione parlammo di molte cose, grandi e piccole. Del suo linguaggio pittorico, partito da forme geometriche astratte per approdare a una pittura più segnica, e delle lunghe corse in bicicletta, una costante nella sua vita; della rivelazione del cinema, con Dino Risi nel 1952, e dell’incontro con Mariolina a metà anni ‘50, che avrebbe cambiato il suo destino.

L’impegno, il coraggio e la curiosità, Marcello Grottesi – pittore, scultore, regista, attore e perfomer – credo non li abbia mai abbandonati. Insieme all’inquietudine di un artista sempre alla ricerca.

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