20 Agosto 2020 - 15:45 . Prati . Cronaca
A Roma 5mila attività rischiano la chiusura. Anticoli: “Ma c’è un modo per ripartire”
Cinquemila esercizi commerciali della Capitale rischiano di chiudere entro la fine del 2020. A lanciare l’allarme è Claudio Pica, presidente dell’Associazione esercenti pubblici esercizi di Roma: “La ripresa economica auspicata non c’è stata. I pubblici esercizi sono ancora ben lontani dal quel ritorno in equilibrio in termini di fatturati e standard produttivi“.
I disastrosi effetti del lockdown sono quindi destinati lasciare il segno ancora per diverso tempo. Ne è consapevole anche Giulio Anticoli, presidente di Roma Produttiva e storico commerciante di viale Somalia: “La speranza è di non accumulare troppo debito anche nel periodo autunno-inverno. Se in quel periodo l’economia sarà di nuovo paralizzata – spiega – ci saranno molte chiusure. Già a ottobre ci sarà una prima resa dei conti e ci saranno posti di lavoro perduti. Per fortuna la cassa integrazione è stata prolungata fino a dicembre, è una boccata d’ossigeno”.
Il proprietario del negozio di abbigliamento Kent è stato tra i promotori della grande protesta organizzata dagli esercenti romani lo scorso maggio. Il motivo? Ottenere maggiori tutele da parte del governo, dopo la quarantena che han danneggiato gravemente il commercio, soprattutto quello di vicinato.
Ma Anticoli non guarda solo il bicchiere mezzo vuoto: “A settembre potrebbe presentarsi una ripresa emotiva simile a quella degli anni ’70, dopo gli anni di piombo – chiosa -. Oggi c’è un’aria molto simile ad allora, ma auspico una ripartenza sotto tutti i punti di vista”.
Infine, Anticoli spiega la sua ricetta per la rinascita del settore: “Una delle chiavi è senz’altro la sinergia tra aziende. È quello che ho spiegato nelle tre serate organizzate da Kent, Cerchio Naturale e la libreria Eli, in cui abbiamo unito la cultura, l’abbigliamento e i prodotti bio, per curare il benessere dell’anima”.
Ma non solo: “L’altra strada da seguire è quella dell’innovazione tecnologica per adeguarsi agli standard delle aziende europee. Da questo punto di vista in Italia siamo arretrati”.