17 Ottobre 2020 - 19:15 . Fuori Quartiere . Cronaca
L’editoriale: city-manager o politico, il candidato a sindaco di Roma deve essere credibile
di Luigi Carletti
Un sindaco manager per Roma? La proposta viene da più parti e nei giorni scorsi Guido Cutillo, proprio su RomaH24, ne ha sostenuto brillantemente le ragioni auspicando questa soluzione come risultato delle elezioni del 2021. Personalmente ho qualche dubbio, e provo a spiegare il perché.
In primo luogo – non me ne vogliano Cutillo e gli altri favorevoli a questa ipotesi – perché io credo che questa loro idea risenta molto dell’effetto Raggi. Un effetto così deprimente da far dire: se questi sono i prodotti della politica, dateci appunto un manager. Uno che sappia fare. Che almeno faccia funzionare i servizi essenziali. Dopotutto, di questi tempi, è vero che sarebbe già un bel passo in avanti.
In secondo luogo ho delle perplessità sul fatto che si possa fare a meno di un sindaco con una comprovata esperienza politica. Il governo di grandi città (e in particolare di una città-stato come Roma) senza quel tipo di sensibilità e di know-how lo trovo estremamente problematico. Mediazioni, compromessi (possibilmente non al ribasso), accordi non semplicemente tecnici ma appunto “politici”, sono elementi connaturati alla capacità di un amministratore pubblico che deve tenere conto di molti aspetti: si tratta di un quadro in cui l’elemento “tecnico” è certamente importante, ma non può essere l’unico.
Naturalmente si potrà obiettare che ci possono essere manager provvisti di quelle doti “politiche” necessarie a un incarico di questo tipo. Vero. Mentre risulta un po’ meno vero che ci siano in giro dei politici, magari bravi, dotati anche di visione manageriale. È però possibile che un buon leader politico sappia circondarsi di una squadra fatta anche di manager a cui affidare le priorità di una metropoli. E tutti noi sappiamo quanto le priorità di Roma ormai debbano essere chiamate con un altro nome: emergenze. Le conclamate insufficienze della giunta Raggi, così come le esperienze precedenti (in particolare nel periodo Alemanno) non devono indurci a pensare che la politica produca solo gnomi, guitti e scialbe comparse. È invece giusto pretendere dalla politica una scelta di alto profilo che sappia mettere insieme visione, strategia e competenze.
Nel futuro assetto istituzionale, ritengo che il sindaco di Roma dovrebbe avere anche un ruolo nel governo centrale del Paese, qualcosa al livello di vicepresidente del consiglio, e avere un compito di coordinamento tra i capoluoghi di regione. In fondo la grandezza di Roma e la sua magnificenza sono frutto dell’ingegno e dell’opera di italiani (e non solo) arrivati da tutte le regioni. Questo è un dato che dovrebbe essere ricordato e dovrebbe fare di Roma una Capitale totalmente inclusiva nei confronti delle altre città, capace di valorizzare e utilizzare le loro esperienze migliori. Ma per fare questo serve un genere di “grandezza” che finora si è vista poco: umiltà, curiosità, capacità di studiare, imparare e condividere. Serve, per l’appunto, “statura politica”.
Stendiamo quindi un velo pietoso su questa legislatura approdata finalmente alla sua fase finale: assisteremo (e già lo stiamo vedendo) a una corsa disperata contro il tempo per fare in pochi mesi quello che non è stato fatto in quattro anni. O comunque per dare l’impressione che molte cose stiano finalmente accadendo. In realtà è come lo studente che, dopo aver dilapidato il tempo a non combinare niente, fa nottata sui libri a poche ore dall’esame. La giunta Raggi si accomodi all’uscita e i cittadini romani decidano che città vogliono per i prossimi cinque anni. Decisione sicuramente complicata: perciò sta alle forze politiche rendergliela il meno difficile possibile presentando candidati credibili e soprattutto un progetto di nuova governance della città.