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Quelle onde che a volte ritornano. Riecco l’incubo elettromagnetico

di Gianluca Colletta

Torna lo spettro delle antenne telefoniche. Dopo anni di battaglie contro i ripetitori di Monte Mario, sopra la scuola Leopardi, e contro le onde di Radio Vaticana, lo sbarco della nuova tecnologia 5G suscita nuove preoccupazioni nel quartiere. Prati rischia di dover tornare a fare i conti con l’inquinamento elettromagnetico. Un’ulteriore mazzata per un quartiere che già dovrà scontare gli effetti della perdita di oltre 300 alberi. Effetti che si tradurranno in un incremento dell’anidride carbonica. E dunque, dello smog.

Sui tetti di Prati sono presenti più di trenta ripetitori telefonici, su un totale di circa cinquemila in tutta Roma. Ecco, a questi dovremo sommare quelli per il 5G. Questa tecnologia, al centro del memorandum firmato recentemente tra Italia e Cina, è il perno fondamentale di quello che viene chiamato “l’internet delle cose”. Ossia, quel sistema in grado di mettere in collegamento non solo le persone tramite l’utilizzo dei cellulari, ma anche gli oggetti.

A differenza del 3G, che portò a Roma l’ultima grande ondata di antenne telefoniche, il 5G si basa su frequenze diverse, le cosiddette onde millimetriche, che hanno un raggio d’azione molto più limitato. Sui danni che produrrebbero, la scienza è divisa. C’è chi sostiene che non penetrerebbero nel corpo umano. Ma è proprio l’assenza di certezze ad alimentare i timori della popolazione.

L’ultima antenna sorta in Prati è stata quella di via Lazzarini a metà febbraio. Per cercare di ridurre i rischi per la popolazione, il I Municipio ha mappato i siti sensibili, come scuole, case di cura e oratori, da cui gli impianti devono avere una distanza minima di 100 metri. Una misura precauzionale presente nel regolamento comunale sulle stazioni radio base. Peccato che, dopo l’approvazione nel 2015 (e votò a favore anche la sindaca Raggi, all’epoca consigliera di opposizione) quel regolamento sia rimasto lettera morta.

Anche l’Antitrust ha bacchettato il Comune per non avere mappato i punti dove installare gli impianti. A metà aprile è stata aperta un’indagine dopo un ricorso presentato dai francesi di Iliad, a cui è stato vietato di installare nuove antenne. In attesa della decisione del garante, crescono le preoccupazioni dei comitati. Le associazioni temono che l’Antitrust possa cancellare parti importanti del regolamento. Quelle relative alla tutela della salute.

La mappa

Sono oltre trenta le antenne di telefonia mobile sui tetti di Prati. Alcune si trovano lontane dai siti sensibili, altre invece sono prossime a scuole, oratori, centri anziani e case di cura. A volte sono addirittura nel raggio di 100 metri come quella di via Andrea Doria, che dopo una lunga battaglia legale è stata spenta. Esistono anche casi-limite. Come in viale Mazzini, dove un’antenna è a 150 metri dalla scuola Gioacchino Belli e a circa 70 dalla basilica del Sacro Cuore Cristo Re, o in via Bazzoni e largo Morosini dove sono vicinissime, in linea d’aria, al liceo Talete. In via Angelo Emo, un ripetitore si trova proprio di fronte al centro anziani. Ma potrebbero essercene anche delle altre, visto che sul sito del Comune una mappa non c’è. Come invece prevedeva il regolamento del 2015.

La legge italiana

L’installazione delle stazioni radio base in Italia è regolato dalla legge Gasparri del 2003, che impone alle compagnie telefoniche di creare l’infrastruttura necessaria per garantire le telecomunicazioni. Come? Presentando ai Comuni una dichiarazione di inizio attività. Il limite (alzato dal governo Monti) per questo tipo di campi elettromagnetici è di 6 volt/metro. La normativa prevede che i soggetti interessati, cittadini compresi, partecipino al procedimento autorizzatorio e vengano correttamente informati. Ai Comuni, che non possono abbassare i limiti imposti dalla legge, è demandato il compito di creare dei regolamenti urbanistici per un piano regolatore per la telefonia, individuando i luoghi sensibili e quelli idonei (compatibili con le esigenze dei gestori).

Il confronto con l’estero

In natura i campi elettromagnetici sono presenti in una misura che varia tra 0,001 e 0,0061 Volt/metro (unità di misura delle radiofrequenze). Tra i 27 Stati dell’Unione Europea, a livello legislativo, le differenze in termini di limiti consentiti sono abissali. Si passa dallo 0,6 V/m delle province di Salisburgo in Austria e della Castiglia in Spagna al massimo di 61 V/m in Gran Bretagna. In mezzo troviamo Belgio e Svizzera, che fissano la soglia rispettivamente a 3 e 4V/m, mentre per Italia (dove da anni si parla di alzare il limite a 60 V/m), Bulgaria e Polonia il massimo consentito è di 6 V/m. Fuori dall’Europa, se in Australia il limite imposto è pari a 0,06 V/m, in Giappone e negli Stati Uniti i parametri sono gli stessi vigenti in Gran Bretagna.

Il regolamento di Roma

Nel 2015 l’Assemblea capitolina ha approvato il suo regolamento per l’installazione delle stazioni radio base. Tra le novità principali, volte soprattutto alla tutela della salute pubblica, c’è la creazione di un piano regolatore, in cui l’amministrazione individua i luoghi, soprattutto di proprietà del Comune, dove installare le antenne telefoniche, delocalizzando quelle più vicine alle case e mantenendo una distanza di almeno 100 metri dai luoghi sensibili, come scuole, oratori e case di cura. Inoltre, è previsto che gli operatori utilizzino il sistema del “cositing”, cioè l’installazione di più antenne su uno stesso traliccio. È stato poi istituito un osservatorio sui problemi dell’inquinamento elettromagnetico. A oggi, non esiste ancora.

La scienza a favore

«Alcuni effetti dei cellulari, come quelli termici, sono stati accertati. Altri, no».  Lo spiega a RomaH24 Alessandro Polichetti, primo ricercatore sui campi elettromagnetici dell’Istituto superiore di sanità. «Temperature elevate possono provocare anche la sterilità. Ma non è il caso dei cellulari. Studi epidemiologici hanno portato lo Iarc (è l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, ndr) a classificare gli effetti dei cellulari come possibilmente cancerogeni di tipo 2B, ma restano delle incognite. Per lo Iarc, non c’è certezza. E c’è chi esclude del tutto una correlazione. Con il 5G diminuiranno le dimensioni delle celle. Avremo più antenne, ma di potenza inferiore. Le onde si fermano a livello della pelle: non penetrano nel corpo. Quindi, il cervello non corre pericoli».

I comitati

L’arrivo del 5G e l’intervento dell’Antitrust, che ha impugnato il regolamento di Roma, preoccupano i comitati che da anni si battono contro le antenne. «Lo scenario è inquietante – spiega a RomaH24 Giuseppe Teodoro, portavoce della Rete romana dei comitati contro l’elettrosmog -. Le multinazionali delle telecomunicazioni hanno lanciato un affondo contro la legislazione italiana, colpevole di difendere salute, ambiente e paesaggio. Il 5G comporta l’installazione di nuovi impianti, con il rischio, pressoché garantito a detta dei tecnici, di superare in numerosi ambiti la soglia prevista dalla legge. Dalla segnalazione del garante, emerge chiara la responsabilità del Campidoglio, che in tre anni non hanno applicato il regolamento approvato nel 2015».

La scienza contro

«Le radiofrequenze non sono compatibili con la vita umana. Il telefonino andrebbe usato solo per le emergenze». È la posizione di Fiorenzo Marinelli, ricercatore di Genetica molecolare del CNR di Bologna. «Gli studi confermano che il cellulare provoca il tumore celebrale. E anche i ripetitori sono dannosi. Un esperimento ha dimostrato che in una scuola irradiata da un’antenna i bambini erano più predisposti a contrarre il diabete. L’Istituto Ramazzini (un centro per la prevenzione del cancro di origine ambientale, ndr) documenta molti altri effetti, così come i 1600 studi pubblicati su bioiniziative.org. Venticinque anni fa si doveva usare un principio di precauzione, perché non c’era certezza. Oggi dobbiamo usare un principio di prevenzione, perché la certezza è che le onde sono dannose».

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