29 Marzo 2021 - 4:16 . Fidene . EXTRANEWS
Essere prete al tempo del Covid: 5 domande a don Giuseppe, vice parroco (under 40) di Fidene
di Valerio Valeri
Giuseppe Surace ha 35 anni e di Fidene conosce (quasi) ogni angolo. C’è nato e cresciuto e adesso, da sette anni, ci lavora pure. Infatti è il vice parroco di Santa Felicita e Figli Martiri, la chiesa della zona, fino al 2003 poco più di un casotto adibito alle funzioni religiose, poi divenuto l’edificio ampio e accogliente che è oggi. Diplomatosi ragioniere all’istituto “Gaetano Martino” al Tufello (ora non c’è più), don Giuseppe è entrato in seminario a 19 anni e fa parte della congregazione dei Vocazionisti, ai quali è stata affidata la chiesa di Fidene. Ma cosa significa essere un prete (giovane) in questi tempi di pandemia, in una zona contraddittoria e in pieno sviluppo come l’ex borgata Fidene? Glielo abbiamo chiesto.
Don Giuseppe, come si riesce a svolgere questo lavoro particolare in un momento di crisi?
La base è la conoscenza delle persone, del territorio. Fidene è in continua evoluzione, è vero, ma negli anni ho costruito un rapporto di fiducia con i suoi abitanti, anche perché ne faccio parte. In un contesto d’emergenza come questo, però, è stato fondamentale anche fare rete con altre realtà associative, per poter essere più capillari e far emergere le situazioni di maggiore fragilità, facendo sapere – anche tramite il passaparola – che noi come chiesa eravamo disponibili ad aiutare. Ci sono famiglie che prima stavano bene e con la pandemia hanno perso tutto. Non è facile accettare di aver bisogno di aiuto anche solo per mangiare.
Lei ha delle passioni extra-parrocchia? Qualcosa che fa quando non è in servizio pastorale?
Sono molto impegnato, quando non sto in parrocchia, con l’insegnamento della religione alle scuole media alla “Nobel”, qui a Fidene. È qualcosa che mi piace molto, quindi cerco di occupare il tempo libero per studiare, formarmi, migliorarmi. Poi se il tempo lo permette, qualche passeggiata. In generale, comunque, cerco di coltivare interessi legati ai temi sociali, ambientali e della legalità, sia tramite il servizio pastorale sia a scuola con i ragazzi. E poi adesso abbiamo messo in piedi un giornalino di zona, sempre con l’aiuto degli studenti di Fidene: non è molto ma ci mettiamo il cuore con l’aiuto di tutta la zona.
E’ mai successo di restare particolarmente turbato da una confessione da parte di un fedele? Si è mai trovato nella condizione di dover decidere tra il segreto imposto dal sacramento e il dover denunciare una situazione grave?
La confessione è un momento delicato del rapporto con i fedeli, perché le persone si aprono completamente condividendo questioni personali. Turbato mai, però è successo di dover mettere particolare attenzione ad alcuni casi, nei quali ho cercato di aiutare, consigliare, indirizzare verso soluzioni. In ogni caso, qualsiasi cosa venga detta in confessionale, non può assolutamente uscire da lì.
Viene ancora molta gente in chiesa? O le cose sono cambiate?
Le cose sono cambiate molto: quand’ero ragazzino la parrocchia era molto più centrale, c’era un senso d’appartenenza differente nella vita quotidiana, almeno per me. È anche questo che mi ha motivato nella scelta vocazionale. Adesso, sia per il cambiamento del quartiere sia per il venir meno di molti riferimenti, diciamo che la parrocchia ha cambiato questo ruolo. Adesso punta molto più ad aprirsi al territorio, non solo a chi la frequenta. La frequentazione è calata e anche il Covid non ha aiutato. Pensi che dobbiamo confessare all’aperto, ovviamente con tutte le accortezze del caso anche per la privacy dei fedeli, ma molti sono rimasti un po’ disorientati. Noi però restiamo in ascolto del territorio, ci apriamo a tutte le realtà, perché viviamo “un cambiamento d’epoca”, come ha detto Papa Francesco, e cerchiamo di stare al passo.
Don Giuseppe, è stato difficile per un ragazzo così giovane decidere di entrare in seminario? E’ mai stato innamorato?
Facendo parte della specie umana, lo può immaginare. Però nella mia vita si andava formando questa consapevolezza della vocazione già da una giovane età, addirittura alle scuole medie. Quando poi ho capito quale fosse davvero il mio percorso, non nego di aver avuto momenti di crisi, di smarrimento, incertezza. Ma non è stato poi così difficile, per me, lasciare la vita di prima e diventare prete. Sono molto contento della scelta che ho fatto.