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Tra le bellezze dell’Antica Roma, l’orrore dei rastrellamenti. Viaggio nel Ghetto ebraico

di Daniele Magrini

Il Giorno della Memoria, che si celebra ogni anno il 27 gennaio, è fatto per ricordare le vittime dell’Olocausto, la ferocia della follia nazi-fascista, ma anche la speranza. Perché la data è stata scelta per sottolineare che proprio il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz e i pochi ebrei sopravvissuti allo sterminio. 

C’è anche, però, in questi giorni che precedono il 27 gennaio, il bisogno di andare oltre alla memoria della Shoah, di fare qualche piccolo gesto di testimonianza che dia un segno di solidarietà verso quella comunità ebraica che fu il bersaglio dello sterminio ordito dai nazisti.

A Roma, nel Ghetto, intorno al Portico d’Ottavia, in questi giorni si coglie un’atmosfera diversa, resa ancora più particolare dalla desertificazione della paura da Covid. Nelle prime ore della notte pochi passanti, che sembrano fuggire e si guardano quasi con timore da sopra le mascherine.

Eppure, proprio i silenzi e le ombre della sera aiutano a tornare indietro nel tempo, al rastrellamento del 16 ottobre 1943 quando 1.259 tra donne, uomini e bambini, furono vittime di una retata dei nazisti. I soldati li strapparono alle loro case: erano le 5,40 e soprattutto in via del Portico d’Ottavia, i palazzi furono svuotati, violentati dalle urla dei soldati nazisti. Era un sabato, quel 16 ottobre 1943. Giorno di festa degli ebrei, scelto probabilmente da Kappler per fare ancora più male: uno spregio in più.

Accanto alla bellezza dell’antichità testimoniata dai resti romani, si compì una delle più scellerate offese alla storia. Qualcuno sfuggì alla deportazione, ma 1.023 ebrei romani furono trasportati nel Campo di Concentramento di Auschwitz. Nel torneranno solo sedici. 

Due targhe ricordano quella spietata caccia agli ebrei romani iniziata nelle ultime ore di quella notte terribile e che andò avanti per tutta la mattinata: “e non cominciarono neppure a vivere” c’è scritto in quella in memoria dei tanti neonati uccisi nei lager nazisti. Fermarsi a pensare, ai morti della Shoah, davanti al Portico d’Ottavia, anche solo per una visita notturna, può ravvivare la memoria, rendere tangibile la solidarietà, suscitare lo sdegno per l’orrore e la ferocia nazi-fascista. Oggi che in tanti, in troppi, cancellano la storia, radunando improbabili manipoli di odiatori, sventolando simboli e perfino bandiere naziste. E, soprattutto a Roma, questi oltraggi non possono più essere consentiti.

La zona è semi-deserta, c’è un silenzio evocativo e una luce che illumina le antiche rovine e i palazzi
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