29 Novembre 2022 - 15:47 . Cultura
Michele Mezza: “In Net-war racconto la guerra Russia-Ucraina, con l’informazione che diventa per la prima volta parte della logistica militare”
di Daniele Magrini
La guerra tra Russia e Ucraina, vista dalla prospettiva della narrazione giornalistica e comunque mediatica, sta determinando una vera e proprio “mediamorfosi”, che trasforma la guerra e il giornalismo in una contesa tecnologica. E’ il tema del libro Net-war – Ucraina: come il giornalismo sta cambiando la guerra (Donzelli editore). Ne è autore Michele Mezza, giornalista e scrittore. Per 40 anni in Rai dove ha ideato e sviluppato il progetto di RaiNews 24, adesso insegna all’Università Federico II di Napoli. Da molti anni trapiantato a Roma, proprio per svolgere il suo mestiere di giornalista alla Rai, vive a Monteverde. E’ autore di molti libri per la casa editrice Donzelli, tra cui Algoritmi di libertà e Il contagio dell’algoritmo.
Perché nel libro parli di infoguerra, e che vuole dire che le infrastrutture di comunicazione per la prima volta nella guerra Ucraina-Russia, entrano all’interno della logistica militare?
“L’idea del libro mi è venuta osservando la dinamica del combattimento in Ucraina nei primi cento giorni. Abbiamo visto un confronto tra la potenza militare tradizionale russa, con la famosa colonna di mezzi militari lunga 65 chilometri, e la società civile dell’Ucraina, una comunità di cittadini, che ha avuto la capacità e la potenza di utilizzare i dati, le possibilità della tecnologia digitale, per resistere all’aggressione. Pensiamo ai dati dei satelliti di Elon Musk, che georeferenziavano ogni singolo carrarmato russo, alla capacità di usare le indicazioni di droni da 50 euro l’uno per segnalare i movimenti delle truppe russe. E poi, il coraggio e l’efficacia dei singoli nerd ucraini che con le moto si muovevano sulla linea del fronte e segnalavano gli spostamenti dei russi, anche sotto i bombardamenti. Tutto questo ha rappresentato un’inedita e straordinaria dimostrazione di come le tecnologie digitali abbiano un’anima: non possono che essere gestite in maniera decentrata e condivisa. E abbiano bisogno di una società civile. Nella guerra tra Russia e Ucraina la società civile ha combattuto senza arruolarsi. L’idea che le città siano state il vero fulcro di resistenza, e i sindaci siano stati i veri generali, ci dice come stiano cambiando le gerarchie dei conflitti perfino nelle fasi più atroci di un combattimento”.
Elon Musk con i 18.000 satelliti messi a disposizione dell’Ucraina, ma anche Google e Microsoft sono state attive: le grandi web companies sono entrate in guerra con molto più incisività dei singoli Stati o della stessa Unione Europea?
“La Sylicon Valley è stata la grande potenza che ha giocato la partita. Si è schierata con la società civile ucraina, ritirandosi dalla Russia e isolando quel Paese. D’altro canto dobbiamo convenire che c’è stata una privatizzazione della guerra, diventata un grande affare per le grandi web companies: i satelliti di Musk, Microsoft ha decrittato le informazioni interne russe, Google è servito per mappare il territorio centimetro per centimetro. C’è stata la capacità degli ucraini di far pesare la tecnologia digitale in chiave di logistica militare, sia come infrastruttura di combattimento che come rete di organizzazione sociale e mobilità”.
Quindi i cittadini ucraini sono diventati cittadini digitali che grazie ai social, alle chat, alle tecnologie digitali hanno potuto trasmettere la posizione dell’esercito russo e comunque resistere. E questo è stato un vantaggio. La Russia non era pronta a questo conflitto digitale?
“Questa è la vera domanda per capire cosa sia accaduto in Ucraina. Abbiamo visto due culture secolari mettere in campo tutte le loro diversità. Lungo il confine dei due Paesi si fronteggiano organizzazioni sociali completamente diverse: la Russa non ha mai avuto una società civile, tra lo Zar o Stalin e i cittadini russi, in mezzo non c’era niente. In Ucraina c’è un’articolazione di poteri intermedi, di associazioni, che organizzano i cittadini prima di diventare Stato: è il segno di cosa sia la realtà intima delle tecnologie digitali, cioè la capacità di organizzare il cittadino a prescindere dallo Stato. Questo nel bene apre a un protagonismo della società civile comunitaria. Nel male, implica un tentativo di sostituire gli Stati da parte delle grandi web companies monopoliste, se non trovano un potere che bilanci e negozi la proprietà dei dati digitali”.
Nel tuo libro fai riferimento al libro del generale Qiao Ling, L’arco dell’Impero, in cui Ling scrive: Ammettiamo con riluttanza che è la tecnologia che fa la storia. Fa la storia e oggi anche le guerre?
“Qiao Ling è un generale della Cina, di quel regime lì, ma con grande riluttanza, appunto, e col rischio di rinnegare secoli di Confucianesimo, riconosce che l’idea della Rete rimpagina la storia. E costringe i potenti a fare i conti con i nani. Questa è la nuova realtà che emerge anche dalla guerra tra Ucraina e Russia. Ed è una grande opportunità che dobbiamo cogliere anche per riorganizzare la nostra democrazia, usando questo straordinario messaggio di condivisione e protagonismo, e non di concentrazione e verticalità che i monopoli digitali rischiano di volerci imporre”.