27 Novembre 2021 - 12:53 . Media
Daje Zerocalcare, il romanesco é proprio “la morte sua”
di Daniele Magrini
Come quelli che con lo sguardo rivolto alla luna, si soffermano sulle caratteristiche della punta del proprio dito, non sono mancati i censori del romanesco che caratterizza la parlata dei protagonisti di “Strappare lungo i bordi”, la serie a fumetti di Zerocalcare che ha fatto “er botto” (tanto per entrare nel clima giusto) su Netflix.
Sui social, ovviamente sempre intrisi di polemiche, le critiche sono queste: “Era meglio far parlare i personaggi in italiano e non dare per scontato che il romanesco lo capiscano tutti”. Guia Soncini su Linkiesta, tra le prime a scendere in campo, ha infarcito il suo atto d’accusa con argomentazioni forti tipo questa: “A Roma pensano davvero che quello scempio della logopedia sia italiano corretto”.
Ora, senza stare a scomodare Pasolini o i tanti film del neorealismo italiano resi intensi proprio dalla parlata romanesca, a chiudere serenamente la questione basterebbe la risposta twittata dallo stesso Zerocalcare: “Madonna rega come ve va de ingarellavve su sta cosa”. Applausi. E potrebbe calare il sipario sull’ennesima polemica benaltrista, anche perché, tutto sommato, perfino l’intellighentia un po’ radical chic fa fatica a non ammettere la trascinante originalità della fiction a fumetti.
Merita però sottolineare perché il romanesco “è la morte sua” nell’opera di Michele Rech, in arte Zerocalcare. Perché quei personaggi della fiction, precari a vita ma senza arrendersi, a tratti disperati ma senza strepiti, rassegnati ma senza piagnistei, per non ricadere nella solita rifrittta sceneggiatura da dramma generazionale non potevano che parlare romanesco. Perché è la lingua della sopravvivenza un po’ incazzata, dell’essere dentro al tunnel ma cercando di accomodarsi almeno un po’. È la lingua giusta per dialogare anche con la propria coscienza di cose pesanti come la solitudine e gli impossibili obiettivi di una vita a stipendio fisso.
Coscienza, che, nella fiction ha i tratti di un gigantesco armadillo e la voce di Valerio Mastandrea, impareggiabile nei suoi ragionamenti filosofici conclusi con “sti’ cazzi”.
Tra fossi grovigli e divani di spade, il senso della fiction è tutto racchiuso nella frase che l’armadillo sibila al protagonista: “Sei cintura nera di come si schiva la vita”. Alla fine, siccome quelli rappresentati con quell’età tra i 30 e i 40, sono un po’ anche i figli di noi “boomer” non resta che commuoversi. Anche perché quei rega di “Strappare lungo i bordi”, la rivoluzione non la faranno mai: “E sti’ cazzi – direbbe l’armadillo – perché voi l’avete fatta?”