1 Novembre 2021 - 16:47
Cacio e pepe, monetine e l’immagine di Roma
di Daniele Magrini
Ma il G20 di Roma è stato più che altro una scampagnata tra amici altolocati? La domanda sorge spontanea visto che gran parte degli analisti, commentando l’inizio da poche ore del Cop26, il vertice di Glasgow sul clima che si concluderà il 12 novembre, sembra sottintendere: “Ora, in Scozia, si fa sul serio”. Perché il compromesso raggiunto all’ultimo tuffo del vertice di Roma sul riscaldamento climatico con tetto a 1,5 gradi, scalda ben poco. E i 100 miliardi vengono promessi ai Paesi poveri ormai ad ogni vertice dei big mondiali. Commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente: “Dal G20 di Roma ci aspettavamo più risposte e azioni concrete sul fronte della lotta alla crisi climatica. Siamo delusi dal Patto per il clima siglato. Si tratta di un accordo che va a formalizzare quanto già acquisito senza prevedere impegni concreti sulla finanza climatica, a partire dall’Italia che non ha messo sul tavolo il suo giusto contributo – almeno 3 miliardi di euro l’anno – ai 100 miliardi di dollari complessivi promessi a Parigi come impegno collettivo dei Paesi industrializzati per aiutare quelli più poveri nell’azione climatica”.
E allora? Cosa rimarrà di questo G20 capitolino? Beh, un po’ di rilancio per l’immagine della Capitale, offuscata da cinghiali onnipresenti e rifiuti debordanti, c’è stato senz’altro. Portiamo a casa l’immagine iconica dei vertici mondiali che gettano le monetine nella fontana di Trevi, rilucente di nuova notorietà forse come non succedeva dal bagno di Anitona Ekberg.
Certo, quella reunion dei big mondiali sul limitare della fontana di Trevi, mica è stata una cosa spontanea. Il ferreo programma del vertice dei potenti mondiali prevedeva che, “percorrendo un tragitto delimitato da un tappeto azzurro, col sottofondo degli elicotteri rombanti e roteanti nell’aere soprastante, dopo aver ricevuto ognuno un sacchettino contenente un euro coniato per l’occasione con l’effige dell’uomo vitruviano, portatisi tutti sul limitare della fontana di Trevi, dove due carabinieri in alta uniforme sovrintenderanno all’evento, i potenti voltando le spalle alla fontana, gettino l’euro in questione dentro la vasca”. Confessiamo: le virgolette sono una forzatura. Il programma ce lo siamo inventati nella sua stesura, ma così é andata.
Eppure, quella foto, così costruita, ha fatto il giro del mondo e racconterà il G20 di Roma molto più dei comunicati ufficiali. E anche l’altra immagine, la foto dei potenti del mondo mischiati con infermieri e medici della Croce Rossa. Anche questa non é stato un flash mob. Ma la potenza di quella foto, esaltando l’impegno di chi ha combattuto il Covid in trincea, evoca in modo efficace la speranza di un mondo post-pandemia. E sarà più diffusa perfino di quella in cui un frizzante Berlusconi, in quel di Caceres, si fece immortalare con la corna sospese sopra la testa di Josep Pique, al vertice dei ministri degli Esteri europei del 2002.
Sempre rimanendo sul piano dell’immagine, della simbologia del G20 capitolino, c’è stato anche chi come il premier inglese Boris Johnson, sorvolando i Fori Imperiali ha paragonato i rischi dell’emergenza climatica al crollo dell’Impero Romano: “Roma e le sue meravigliose rovine – ha detto – sono un luogo perfetto per il G20: perché ci ricordano che, se non agiamo immediatamente sul clima, una civilizzazione straordinaria come quella dei romani può crollare velocemente ed estinguersi“. Una sorta di “memento mori” che se il G20 fosse stato a Napoli, Boris per scaramanzia non lo avrebbero nemmeno fatto scendere dall’aereo.
D’altronde, ormai, è finito il tempo della diplomazia sotterranea, della tessitura di equilibri fragili definiti lontani dalle prime pagine. Anche la politica estera la si fa attingendo a simbologie eclatanti e a immagini iconiche. I vertici dei potenti, i G7 e i G20, servono più che altro a radunare il circo mediatico. Il mondo, intanto, andrà come vorrà. E allora prendiamo atto che il G20 è servito quantomeno a riportare Roma in prima pagina, a prescindere dai cinghiali. Ed è stato anche il trionfo della cucina de’ noantri: “Tutti pazzi per la cacio e pepe di Draghi“, ha titolato Repubblica in un impeto di trionfalismo capitolino e governativo. Ora chissà cosa accadrà a Glasgow. Ma certamente, una cacio e pepe come quella “di Draghi” se la sognano.