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“Per me, suora e atleta la corsa è fede e felicità”
di Luisa UrbaniDi religiose al mondo ce ne sono moltissime e di atlete donna ancora di più. Ma di suore atlete che corrono forse c’è solo lei. Da quando è entrata a far parte di Athletica Vaticana poi, oltre che unica, è diventata anche famosa. Una fama e una curiosità nei suoi confronti che all’inizio le davano quasi fastidio: «Tutti mi chiedono – spiega Marie-Théo – “come ti vesti per correre?”. La maggior parte delle persone pensa religiosa uguale abito e quindi ha difficoltà ad immaginare una suora in tenuta da corsa. Ma non è così: in abito o in tuta sono sempre io. Non è l’abito che dà testimonianza, ma la mia persona». Con il tempo poi ha accettato la curiosità degli altri e l’ha trasformata nel suo modo di evangelizzare. «Rispondendo faccio capire alle persone che una religiosa non vive in un mondo a parte, ma è vicina alla gente. Alla fine anche Gesù era uno come noi».
Si ricorda quando ha indossato il primo paio di scarpe da corsa?
«Ho praticato tennis, sci e tanti altri sport, tranne la corsa. Anzi, al liceo mi annoiava molto. Poi, a Roma, ho iniziato a correre, più che per convinzione, per condividere un’attività: eravamo una comunità di giovani suore e ogni tanto correvamo insieme a Villa Pamphilj. E ho scoperto che questo sport poteva diventare uno spazio di solitudine per vivere la mia unità e sentirmi in vita in tutta me stessa».
Quando la prima gara?
«Nel 2012. Un giorno, parlando con un collega sono venuta a conoscenza della Race for the cure, la corsa promossa per raccogliere fondi per la ricerca sui tumori femminili. L’iniziativa mi colpì molto: nella mia comunità c’era una consorella malata. Così, mi iscrissi alla gara. Subito dopo però pensai che forse avrei dovuto parlarne con i membri della comunità. In fin dei conti non si era mai vista ancora una cosa del genere: correre va bene, ma partecipare a una gara! Timidamente chiesi alle consorelle cosa ne pensassero e la loro risposta fu entusiasmante: fin da subito sono state loro le mie più fedeli tifose».
Così la Race for the cure è stata la prima di una lunga serie…
«Sì. Dopo i 5 km della Race for the cure, ho provato i 10 con la Hunger Run. Poi sono passata ai 13 con l’Appia Run. Poi mi sono detta: “Adesso mi tocca fare la mezza maratona” e così sono finita sulla linea di partenza della Roma-Ostia che per me è stata occasione di meditazione. Mentre correvo mi sono tornate in mente le parole di San Paolo ai Filippesi: “Io corro verso la meta per raggiungere il premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù”. Così ho pensato che le forze che cercavo dentro di me per arrivare fino al traguardo erano uno stimolo anche nella mia sequela di Cristo! Sentire quanta forza mi veniva dalla determinazione sportiva mi ha dato una bella spinta per la mia vita di fede di ogni giorno».
Per lei cosa significa esattamente correre?
«Ho corso per non piangere e per non litigare con gli altri, ma anche per sentirmi in vita e per felicità. Ho corso per pensare e riflettere. Ma soprattutto ho corso sempre con Gesù che mi si faceva vicino sussurrandomi “Sono qui, corro con te, prendi respiro in me e ce la farai”. La mia corsa diventa quindi preghiera perché correre è anche un ringraziamento alla vita che ricevo. Sport e fede, infatti, si basano su un’unica passione che è quella per la vita».
E a gennaio il tesseramento con Athletica Vaticana, la società sportiva dello Stato più piccolo del mondo.
«Grazie ad Athletica Vaticana ho iniziato a correre in una famiglia che è Chiesa. Quanto è bello sperimentare insieme, nella fatica e nella gioia la comunione, la solidarietà, l’attenzione all’altro. Ogni vittoria di un mio compagno di squadra mi riempie di gioia perché è parte di me. Una piccola ma vera immagine di ciò che sarebbe la comunione dei santi».
Dove si allena?
«Alla Balduina, che è anche il quartiere in cui vivo. Ho trovato un percorso di 5 km che costeggia la pista ciclabile. Lì posso allenarmi senza problemi, lontano da auto e traffico».
Come si prepara ad una gara? Ha qualche abitudine prima del via?
«In atletica, prima delle gare, recitiamo la preghiera del maratoneta: è un bel momento di unione. Il pregare insieme ci rende ancora di più una squadra, siamo insieme il nostro correre con la benzina della fede, con il respiro di Dio in noi e tra di noi».
La prossima sfida?
«Vorrei fare la maratona».