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Quella scia di sangue da Castel Gandolfo a via Poggio Catino
di Claudio Lollobrigida“Il giallo di Antonietta Longo, la decapitata del lago”. Così il Corriere della Sera titola l’articolo pubblicato il 16 febbraio – a firma di Fabrizio Peronaci, giornalista ed esperto di nera, autore di “Morte di un detective a Ostiense e altri delitti” edito da Typimedia – sull’inquietante mistero, ancora oggi irrisolto, che aleggia su via Poggio Catino 23.
Qui, nel luglio del 1955, si abbatte l’ombra di un delitto consumato a pochi chilometri di distanza, per la precisione a Castel Gandolfo. La vittima è Antonietta Longo, che in quella casa del quartiere – di proprietà del medico Cesare Gasparri – presta servizio come cameriera.
E oggi, a quasi 65 anni di distanza, il Corriere della Sera raccoglie lo sfogo del nipote di Antonietta, ancora in cerca di risposte per la tragica fine di sua zia.
Ma cosa accadde precisamente in quel maledetto luglio? Tutto inizia una domenica, quando due uomini compiono una raggelante scoperta nella boscaglia di via dell’Acqua Acetosa – a due passi dal lago di Castel Gandolfo – dove giace il corpo di una ragazza, nudo e senza testa, martoriato da 13 coltellate. L’unico segno di riconoscimento è un piccolo Zeus bianco, un orologio di poco valore, ma molto prezioso ai fini delle indagini. In Italia, infatti, ne sono stati venduti soltanto 150.
Una fotografia viene consegnata ai giornali e diffusa. A farsi avanti per primo è un orologiaio di piazza Santa Emerenziana, che riconosce il cinturino, venduto poco tempo prima ad Antonietta Longo, ragazza di origini siciliane che aveva lavorato, appunto, in via Poggio Catino 23, alle dipendenze del dottor Cesare Gasparri. L’identità è confermata da ulteriori esami, mentre l’autopsia rivela dettagli ancor più inquietanti. L’utero e le ovaie della donna sono stati asportati, operazione che Antonietta, a detta di Gasparri, non aveva mai subito in vita.
A quel punto si fa strada l’ipotesi di un bambino indesiderato, possibile seconda vittima di questo efferato omicidio. Con probabile movente passionale. Il 5 luglio infatti, giorno presunto della morte, Antonietta aveva spedito una lettera alla famiglia, nella quale sembrava annunciare un imminente matrimonio. Ma c’è di più. Due mesi prima, Antonietta aveva ritirato i suoi risparmi, chiesto le ferie ai datori di lavoro e acquistato un biglietto per la Sicilia.
Nel corso delle indagini, qualcuno sostiene di averla vista recarsi da un sarto in compagnia di un uomo, altri testimoniano che la giovane avrebbe affittato una barca, sempre con uno sconosciuto accompagnatore, senza mai tornare al pontile. Si pensa allora che la cameriera – ragazza ingenua che voleva arrivare casta al matrimonio – si sia innamorata di qualcuno che in realtà voleva truffarla.
Solo ipotesi, però. Perché ogni pista seguita porta a un vicolo cieco, compresa quella che sembra puntare al presunto fidanzato di Antonietta, un pilota delle linee civili. A infittire il mistero ci sono anche due lettere anonime, inviate a casa Gasparri e alla Corte d’appello di Roma, nelle quali si legge che la giovane sarebbe morta per sbaglio durante un aborto.
Ma non ci sono armi, né un assassino o un movente. Solo una teca al Museo Criminologo di Roma, in via Gonfalone, con i resti rinvenuti durante le indagini. E le domande di suo nipote, a cui nessuno è mai stato in grado di dare una risposta.
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