Il fecondo melograno di Villa Ada e il mito di Persefone in quel simbolo di morte e rinascita
Questa volta andremo alla scoperta dell’energia vitale del melograno che, insieme al noce, rappresenta la transizione dal periodo estivo a quello invernale. Il melograno (punica granatum L.) proviene dall’Iran ed è l’emblema dell’Armenia. Nel parco di Villa Ada lo si può ammirare nella zona vicino al Casale della Finanziera.
È legato al mito di Persefone (in greco) e Proserpina (in italiano). I miti sono importanti perché ci pongono di fronte ai grandi interrogativi della vita e della morte unendo natura e cultura, per riuscire a creare una relazione con il mondo non di dominio o di essere dominati.
Persefone è il simbolo di morte e rinascita, come le fasi della vita. In realtà, anche durante l’inverno, le radici degli alberi continuano a vivere con l’aiuto di funghi e lombrichi e per evitare le gelate, soprattutto le conifere, riempiono le foglie di una concentrazione di zuccheri che funzionano come un antigelo naturale, le angiosperme hanno meno concentrazione di zuccheri e perdono le foglie. Anche noi moriamo lasciando ricordi e ci auguriamo semi che potranno rinascere.
Nata da Demetra e Zeus, mentre passeggiava cogliendo fiori si avvicinò a un narciso. Racconta il poeta greco Callimaco (310 a.C.): «Ma l’ampia terra si aprì nella pianura di Nisa, e ne uscì con i suoi cavalli immortali il signore che ha molti nomi e molti sudditi, figlio del Tempo…». Era Ade o Plutone, innamorato di Proserpina, la rapì e voleva portarla nell’Ade. Ma, a quel punto, «Ciane, la più famosa fra le ninfe di Sicilia, affiorando dal centro dell’acqua fino alla vita, riconobbe la piccola dea, e disse “Di qui non si passa! Tu non puoi essere genero, se lei non vuole, di Cerere: chiederla, non rapirla dovevi» (dalle “Metamorfosi” di Ovidio, nella splendida traduzione moderna a cura di Vittorio Sermonti).
La madre Demetra la cercò ovunque, finché il sole che vede tutto le disse: «Tua figlia non è più sulla terra, Ade la portò nel regno dei morti, ed ora, ella, pallida regina, domina su vane ombre» (Callimaco). Anche Aretusa parlò: «Ho visto con i miei occhi la tua Proserpina, triste, d’accordo, e con lo spavento ancora impresso sul viso, ma regina pur sempre, signora del mondo delle ombre, pur sempre possente consorte del re dell’inferno». (“Metamorfosi” di Ovidio, sempre nella traduzione di Sermonti).
La madre si rivolse a Zeus, che disse solo che, se Persefone non avesse toccato cibo, le sarebbe stata restituita. Ma Persefone, ignara, aveva mangiato sei semi di melograno. E così Zeus non la liberò. Demetra, furiosa per la decisione di Zeus, «frantuma gli aratri che voltan le zolle, mette a morte coloni e buoi da lavoro in preda alla collera, ordina ai campi di deludere ogni speranza, e contamina le sementi… il grano muore appena spigato o per eccesso di sole o per pioggia eccessiva; sono ostili le stelle e i venti, uccelli ingordissimi piluccano i semi nei solchi». (Dalle “Metamorfosi” di Ovidio, traduzione di Sermonti).
Gli uomini, disperati, si rivolgono a Demetra che a sua volta chiede nuovamente aiuto a Zeus. Questi stabilì allora che Persefone avrebbe trascorso sei mesi con Ade, quelli invernali, e sei mesi con la madre all’apparire della primavera. Per questo Persefone rappresenta la fertilità della natura, la rigenerazione e la rinascita dopo la morte. E così gli antichi greci spiegavano l’origine delle stagioni.
Il melograno – piccolo arbusto, contorto e spinoso, con foglie caduche – per il suo picciolo corto a forma di corona era considerato dagli antichi il re dell’orto.
Fiorisce in maggio, con splendidi fiori rossi ermafroditi che si aprono con una stella a cinque o sette petali simbolo di bellezza e amore appassionato.
Il suo frutto è globoso, con scorza resistente giallo-rossa, contiene molti semi ricoperti da una polpa rossa, sanguigna e trasparente, dolce e un po’ acidulo. Si mangia da ottobre a novembre ed è ricco di antiossidanti. È simbolo di vita, ed è considerato un attributo della Dea Madre. Dona fecondità e abbondanza, rappresenta l’energia vitale dell’universo. Viene paragonato all’utero e in Cina raffigura l’organo genitale femminile.
Il nome deriva da “malum granatum” (frutto dai piccoli grani): mal dolce, ma anche male. La stessa desinenza di mela. Ritorna la doppiezza del significato. Il nome scientifico “punica granatum”, indicato da Linneo, viene da mela di Cartagine, detta Punica.
Chiudiamo con un riferimento ad un brano della poesia che imparavamo tutte e tutti a memoria nella nostra infanzia, “Pianto antico” di Giosuè Carducci:
L’albero
a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno,
da’ bei vermigli fior,
nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora
e giugno lo ristora
di luce e di calor