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L’editoriale: piazza Sempione e quelli che a Roma dicono no a tutto
di Luigi CarlettiL’assessore alla Cultura di Montesacro, Christian Raimo, ha scritto su Facebook un lungo post in cui – facendo largo uso di ironia con punte di colto sarcasmo – stigmatizza le resistenze di alcuni cittadini contro il progetto del 3° Municipio per la pedonalizzazione di piazza Sempione e il conseguente spostamento della Madonnina che oggi, in pratica, fa da spartitraffico.
L’intervento di Raimo ha suscitato numerosi commenti a favore e altrettanti di aperta critica, sia nel metodo che nel merito. Personalmente non amo i politici che bacchettano i cittadini, ma Raimo ormai lo conosciamo: del politico ha l’incarico ma sappiamo che gli sta stretto, lui è uno scrittore e un animo inquieto, e a noi gli animi inquieti piacciono. Pertanto ben venga un intervento da molti giudicato “sopra le righe”, se questo ha il merito di rovesciare il tavolo della discussione.
Resta il fatto che il progetto della giunta Caudo su piazza Sempione è un progetto serio e umilmente al passo con i tempi: più spazio ad aree pedonali e ciclabili, meno uso dell’auto, o quantomeno un utilizzo più assennato in nome (anche) della salute pubblica. A Roma si muore di smog come in una fabbrica chimica degli anni settanta. Un dato che sfugge alla percezione quotidiana perché le sue croci non vengono elencate ogni sera nel bollettino della protezione civile, ma che è grave quanto una pandemia. Con la differenza che non dura da un anno ma da molto più tempo e che le sue conseguenze colpiscono subdolamente tutte le fasce d’età.
Quindi si può criticare Christian Raimo quanto si vuole, ma al di là del metodo, poco usuale per un assessore e tipico invece di un polemista da prima pagina, il tema di fondo è la difficoltà di Roma a cambiare: qualsiasi cosa. Ed è un tema drammaticamente enorme, perché le resistenze arrivano da un “partito trasversale” che come logica ha i piccoli egoismi corporativi e personali, le rendite di posizione e un’atavica avversione verso i progetti che promettono (o minacciano) di mettere in discussione situazioni vecchie di decenni. Dalla pedonalizzazione del “tridente” alle corsie degli autobus in viale Eritrea e viale Libia, dalle nuove ciclabili fino al progetto di piazza Sempione, le battaglie a cui assistiamo da anni, assegnano Roma alla parte del Paese più ostinatamente e ottusamente resistente a qualsiasi modifica dello status quo. Neanche abitassimo in una città da portare come fulgido esempio di metropoli moderna e sostenibile.
Rispetto alle grandi capitali occidentali, Roma è in grave ritardo su tutto: dai servizi primari ai progetti per i giovani, dalla vivibilità alla sostenibilità ambientale. Un gap che emergerà con drammatica evidenza non appena questa fase di restrizioni sarà finalmente conclusa e i Paesi torneranno a confrontarsi (e a competere) sul piano dell’attrattività verso i flussi turistici e verso le masse di giovani in movimento per ragioni culturali e professionali.
Talvolta scherzando si dice che il primo problema di Roma sono i romani. È uno scherzo, certo, ma come tutte le battute generiche e quindi facili, un po’ ci prende. C’è una parte della città che è pronta a mettersi di traverso rispetto a qualsiasi proposta, quasi che sia in attesa di un modello decisionale diverso, del tipo uno che decide e gli altri che più o meno convintamente obbediscono. Quel modello, “che a Roma ha fatto anche tante cose buone” come mi ricorda sempre un nostro anziano lettore, è il contrario del confronto democratico, in cui un progetto segue un iter ben preciso e poi, se approvato, va a realizzazione. Questo è ciò che è accaduto per piazza Sempione, piccolo-grande emblema della litigiosità romana rispetto a qualsiasi ipotesi di evoluzione, ma simbolo importantissimo della necessità di fare qualche passo avanti nel cambiare questa città.
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