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Alla Sapienza undici pietre d’inciampo per le vittime di mafia

di Giulia Argenti

Giuseppe Impastato, Giancarlo Siani, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. I nomi di questi e di altri sette eroi vittime delle mafia costeggiano il viale principale della città universitaria della Sapienza, in piazzale Aldo Moro. 

Sono state, infatti, inaugurate dalle rettrice Antonella Polimeni le undici pietre d’inciampo poste per ricordare donne e uomini vittime di mafia in tutto il nostro Paese. I nomi ai quali sono intitolate le targhe sono: Giuseppe Impastato, Rita Atria, Giancarlo Siani, Lia Pipitone, Rosario Angelo Livatino, Lea Garofalo, Peppino Diana, Renata Fonte, Bruno Caccia, Gelsomina Verde, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Il percorso è stato chiamato “Cento passi verso la legalità”, un nome che richiama i famosi “cento passi” che separavano la casa di Impastato da quella del boss mafioso Gaetano Badalamenti.

“Aver voluto tracciare questi cento passi con pietre di inciampo, ognuna dedicata a donne e uomini che hanno lottato contro le mafie, sottolinea il valore della memoria e delle testimonianze  – dichiara la rettrice Polimeni –. Il fatto che questo progetto sia stato portato avanti dalle studentesse e dagli studenti è di particolare rilievo: la formazione alla legalità deve essere un tema da sviluppare nel percorso scolastico, perché i giovani in primis devono essere portatori di questi ideali”.

Le figure ricordate nelle targhe sono emerse dai sondaggi lanciati sulle pagine Facebook e Instagram di alcune associazioni studentesche, nell’ambito del percorso “Cento passi verso la Legalità”, in adesione al bando della Fondazione Falcone “Le Università per la Legalità” 2019-2020.

Ecco i nomi e le storie delle donne e degli uomini a cui sono dedicate le pietre, impegnati come giornalisti, magistrati, forze dell’ordine e politici, ma anche cittadini comuni. Uccisi in quanto testimoni di giustizia o per il loro impegno civile.

-Giovanni Falcone (Palermo, 18 maggio 1939 – Palermo, 23 maggio 1992) e Paolo Borsellino (Palermo, 19 gennaio 1940 – Palermo, 19 luglio 1992).Magistrati, assassinati dalla mafia nel maggio e nel luglio del 1992.

Giuseppe Impastato, giornalista, attivista politico, ucciso a 30 anni (Cinisi 5 gennaio 1948, Cinisi, 9 maggio 1978); insieme a Rita Atria, è tra i pochi casi di persone appartenenti a famiglie mafiose siciliani che ne prendono pubblicamente le distanze e denunciano.

Peppino Impastato

Rita Atria, testimone di giustizia, 17 anni, si uccise una settimana dopo la strage di via D’Amelio perché, proprio per la fiducia che riponeva nel magistrato italiano Paolo Borsellino, si era decisa a collaborare con gli inquirenti (Partanna, 4 settembre 1974 – Roma, 26 luglio 1992).

Giancarlo Siani, 26 anni, giornalista, assassinato dalla camorra. (Napoli, 19 settembre 1959 – Napoli, 23 settembre 1985).

Rosalia “Lia” Pipitone, 25 anni, uccisa con il consenso del padre Antonino Pipitone, capomafia della famiglia Acquasanta di Palermo, per aver intrattenuto una presunta relazione extraconiugale, violando in questo modo l’onore della sua famiglia, secondo le regole di Cosa Nostra (Palermo, 16 Agosto 1958 – Palermo, 23 Settembre 1983).

Rosario Angelo Livatino, 38 anni, magistrato, assassinato dalla stidda. È venerato come beato e martire dalla Chiesa cattolica (La stidda è un’organizzazione criminale italiana di tipo mafioso, che opera in prevalenza in Sicilia, in particolare nelle province di Agrigento, Caltanissetta, Catania e Ragusa), (Canicattì, 3 ottobre 1952 – Agrigento, 21 settembre 1990).

Lea Garofalo, 35 anni, testimone di giustizia, vittima della ‘ndrangheta, dal 2002 decise di testimoniare sulle faide interne tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno Carlo Cosco (Petilia Policastro, 24 aprile 1974 – Milano, 24 novembre 2009).

Giuseppe “Peppe” “Peppino” Diana, 35 anni, presbitero, insegnante, attivista e scout italiano, assassinato dalla camorra per il suo impegno antimafia speso prevalentemente tra i giovanissimi di Casal di Principe (Casal di Principe, 4 luglio 1958 – Casal di Principe, 19 marzo 1994).

Renata Fonte

Renata Fonte (Nardò, 10 marzo 1951 – Nardò, 31 marzo 1984) politica italiana, prima donna nel 1982 ad assumere la carica di assessora alla cultura e alla pubblica istruzione, vittima di mafia per aver denunciato la speculazione edilizia che stava interessando l’area di Porto Selvaggio.

Bruno Caccia, 66 anni, magistrato ucciso dalla ‘ndrangheta mentre ricopriva l’incarico di Procuratore Capo della Repubblica a Torino (Cuneo, 16 novembre 1917 – Torino, 26 giugno 1983).

Gelsomina Verde, 22 anni, torturata e uccisa dalla camorra; dopo le sevizie il corpo venne dato alle fiamme all’interno della sua auto. Estranea agli ambienti criminali lavorava come operaia in una fabbrica di pelletteria e nel tempo libero si occupava di volontariato: la sua “colpa” era quella di essere stata legata sentimentalmente per un breve periodo molti mesi prima di essere uccisa con Gennaro Notturno, parte del cosiddetto clan degli scissionisti di Secondigliano (Napoli, 5 dicembre 1982 – Napoli, 21 novembre 2004).

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