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Rino Gaetano, curiosità e aneddoti raccontati dai nipoti
di Antonio Tiso“Quando era il compleanno di uno di noi nipoti, mio zio Rino faceva un regalo a tutti e tre, per non creare dispiacere a nessuno. Era una sua delicatezza, per non farci rimanere male”. C’è tanto affetto nelle parole con cui Alessandro Gaetano, figlio di Anna Gaetano, la sorella del cantautore, ricorda l’amato zio.
I tre nipoti dell’autore de “Il cielo è sempre più blu” sono ormai degli uomini. Alessandro, Maurizio e Danilo mantengono però vivo l’amore per una figura a loro cara. E non soltanto a loro: la famiglia del cantautore, scomparso tragicamente il 2 giugno 1981, infatti, ha vissuto per anni a Montesacro in tre diversi palazzi. Prima in viale Tirreno, poi in via Cimone, infine in via Nomentana Nuova 53.
“Per me è stato come un padre”, racconta Maurizio, classe 1965. “Sono cresciuto a Montesacro. Vivevo a 200 metri da lui. Mi accompagnò persino al primo giorno di scuola. Vedevo più lui che mio papà perché quest’ultimo lavorava all’estero e tornava a casa solo due volte l’anno. Zio Rino invece mi faceva da baby sitter. La prima volta che lo vidi cantare Aida alla tv ero imbarazzato, forse perché ero una persona molto riservata e mi faceva effetto che lo zio fosse un personaggio pubblico. Però ero orgoglioso di lui”.
A casa Gaetano era una persona con cui si poteva parlare di tutto: “Voleva diventare un sommelier”, prosegue Maurizio. “Mi raccontava tutto sul vino. Se trovava un bambino curioso ci perdeva tempo. Era colto, leggeva tanto, era un perfezionista. Un’altra volta mi spiegò tutto su alcuni bicchieri in argento sterling che si era comprato”.
Sono due gli eventi che più hanno scioccato la vita di Maurizio: “La morte di mio zio e il crollo delle Torri Gemelle. So dirti perfettamente dove mi trovavo in quei momenti”. Quanto alla dimensione privata di Gaetano, Maurizio ci tiene a sottolineare un aspetto: “Era riservato eppure aveva tanti amici. Era una persona che lasciava il segno. La canzone che più lo rappresenta per me è “Mio fratello unico”, per la solitudine che si portava dentro. Mio zio era divertente ma anche malinconico. Una sorta di Buster Keaton della musica. Generoso e allegro nella forma, ma con un velo di tristezza dentro. Forse perché veniva dalla povertà e questo lo aveva spinto a ingegnarsi sempre”.
Poi un ricordo inaspettato sul dietro le quinte della vita di Gaetano: “La sua stanza sembrava un quadro di Picasso, lui diceva che c’era un disordine organizzato. E se nel caos spostavi qualcosa effettivamente se ne accorgeva. Aveva molta inventiva. Aveva il suo laboratorio fotografico in casa e a noi insegnò tutto sull’arte della stampa”.
Alessandro ha un ricordo cui tiene particolarmente: “Proprio qui, sotto casa di Rino in via Nomentana Nuova 53, c’era un ristorante dove mi portava quando andavo a trovarlo. Ero piccolo quella volta, avrò avuto quattro o forse cinque anni. Un’età in cui si crede ancora alle favole. Quel giorno, in quel locale incontrammo una persona che Rino conosceva e con cui spesso si fermava per due chiacchiere. Un signore piccolo piccolo di statura, poco più alto di me, ma con l’aspetto di un uomo. I miei occhi di bambino lo vedevano basso e minuto come me, anche se qualcosa non tornava. Profumava di dopobarba e di sigaro, non poteva essere un bambino. Così Rino, con fare da zio, mi disse: Sandro, sai chi è questo signore? Feci no con la testa, ancora guardandolo dubbioso. “Questo signore – disse Rino, strizzando l’occhio all’interessato – è uno dei sette nani”.
Sorrisi. I miei dubbi erano svaniti per lasciare spazio alla certezza di quella giornata: mio zio non era più “solo” il mio cantante e zio preferito, era anche un amico dei sette nani. Che felicità per quel bambino degli anni ’70. Sono passati quasi quarant’anni da quella domenica, ma ogni volta che mi torna alla mente, ripenso al suo modo di essere, di dire, di fare, di sorridere alla vita”.
Danilo, classe 1968, oggi compositore e musicista, ha ancora una registrazione del Natale del 1971, fatta a casa della nonna materna con lo zio: “Avevo tre anni ed ero molto intonato. Incidemmo su una musicassetta una canzone di Raffaella Carrà, “Ragazzo spazzola”. Il ritornello faceva: “Chissà se va, chissà se va”. Nell’audio dell’epoca si sente la mia voce di bambino che canta e lui che mi accompagna alla chitarra e a un certo punto, quando mi interrompo, dice: “Coraggio, vai avanti”. Mio zio era altruista con il prossimo, raccontava barzellette, aneddoti. Cercava sempre di rallegrare le persone vicine a lui. Lo sentivo spesso al telefono ed era sempre carino. Per noi è ancora qui, presente”.
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