Montesacro | La Storia

Montesacro, ecco il cohousing che ridà dignità a un gruppo di ultrasettantenni

Antonio Tiso

Ettore ha 81 anni e quando è entrato nel 2017 nel cohousing di Sant’Egidio a Montesacro non aveva nulla, solo una busta di oggetti personali. Prima viveva in una cantina senza finestre sulla Cassia, aveva problemi polmonari e per scaldarsi passava le giornate sugli autobus. Ettore è uno dei quattro anziani che vive a via Pratomagno 7. Un’esperienza di convivenza arrivata al suo decimo anno di vita – il progetto festeggerà i due lustri a dicembre 2021 – che ha permesso a persone in difficoltà di riprendere in mano la loro vita. Gli abitanti della casa dividono infatti le spese e gli spazi di un alloggio con giardino alle porte di Città Giardino.

Dall’abbandono all’aiuto

Cinque camere da letto, di cui due doppie, quattro bagni e un soggiorno con angolo cottura. Il cohusing è un modello abitativo su cui Sant’Egidio punta molto. L’appartamento in zona viale Jonio fa parte delle oltre 70 convivenze che la Comunità ha aperto a Roma e provincia in questi anni. La formula è semplice: aiutare piccoli gruppi di anziani, non più completamente autonomi, a vivere insieme.
“Favorire un processo d’aiuto, è questo che facciamo. Mettere sotto lo stesso tetto persone in situazioni di fragilità porta alla risoluzione di problemi. Perché oltre a trovare una casa, si danno sostegno tra loro, diventano una famiglia allargata e conservano una relativa indipendenza”, spiega Roberto Bortone, referente di Sant’Egidio per l’area anziani del quartiere. La storia dell’alloggio di Pratomagno nasce oltre dieci anni fa. La donazione di un benefattore permise a Sant’Egidio di comprare due alloggi da destinare a uso abitativo per anziani, uno a Montesacro e uno a Ostia. “Qualcuno degli abitanti di via Pratomagno viveva in condizioni disumane”, va avanti Bortone. “Clinio, per esempio, è un ex senza fissa dimora, si vanta bonariamente di avere la tessera n. 3 della mensa dei poveri di via Dandolo, nata nel 1988. È con noi dal 2011, ma fino all’ultimo è stato vicino a un suo amico di strada, Bruno. Angela, invece, finalmente sente di avere una casa vera, è in carrozzina dalla nascita e ha sempre vissuto nelle Casa Famiglia per disabili adulti”.

Gli inquilini di via Pratomaggiore

L’organizzazione

La vita di comunità richiede un po’ di flessibilità, ma i lati positivi della convivenza sono certamente maggiori rispetto ai piccoli svantaggi: “Ci sono periodi in cui sembra una luna di miele, altri in cui affiorano delle difficoltà ma il legame tra i quattro residenti è forte. Tra loro provano affetto e si danno una mano, giorno per giorno. Poi il lavoro dei volontari serve proprio a favorire la conciliazione”, spiega Bortone . “Un gruppetto di volontari ruota all’interno della casa per portare aiuto e solidarietà. Poi c’è una badante, pagata, che vive stabilmente con gli anziani. Prima della pandemia era più facile organizzare giornate aperte agli esterni, ma nel frattempo ci siamo comunque organizzati con giri di tamponi rapidi in giardino. Ciclicamente viene un’infermiera a nostre spese, così siamo più sereni, volontari e abitanti”, prosegue Bortone.

Sconfiggere la solitudine

“Di solitudine si muore, specie al tempo della pandemia. Ma l’esperienza di vivere insieme, per gli anziani, può essere un’opportunità di vita serena. E per noi tutti è l’occasione per tutelare la storia e la memoria”, spiegano da Sant’Egidio. La rinascita di Ernesto, Angela, Clinio e Ettore ne è un esempio. Ernesto è il quarto abitante e la sua storia è già nota nel quartiere.

LEGGI la storia di Ernesto Laura


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