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L’editoriale: “L’assoluzione di Virginia Raggi e una Capitale in continua apnea”
di Luigi CarlettiLa sindaca Virginia Raggi è stata assolta dall’accusa di falso nella vicenda della nomina di Renato Marra, fratello di Raffaele, ex capo del personale del Campidoglio, a capo del dipartimento turistico del Campidoglio. In appello è arrivata l’assoluzione dopo che in primo grado era già stata assolta con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. La pubblica accusa, in appello, aveva chiesto dieci mesi.
La sentenza era stata appena pronunciata e già cominciava il processo di beatificazione, avviato dalla stessa Raggi: “Credo che debbano riflettere in tanti, anche e soprattutto all’interno del Movimento 5 Stelle. Ora è troppo facile voler provare a salire sul carro del vincitore con parole di circostanza dopo anni di silenzio”. E giù amare riflessioni sugli anni di solitudine, sulle strumentalizzazioni politiche e sui tanti corvi che aspettavano una sua condanna.
All’epoca del rinvio a giudizio avevamo scritto che i politici non dovrebbero essere giudicati in base ai procedimenti giudiziari, perché nelle inchieste non dovrebbero proprio finirci. Per chi ha vissuto periodi come quello di Tangentopoli, l’idea di un’Italia continuamente capovolta dagli scandali e dalle procure è qualcosa di nauseante. È però vero che spesso le inchieste sono l’inevitabile conseguenza di comportamenti ambigui, disinvolti o spericolati, e quindi è necessario attenderne gli esiti.
Nel caso di Virginia Raggi abbiamo una doppia assoluzione, e questo va detto forte e chiaro. Perciò è comprensibile la sua soddisfazione e di quelli che la sostengono. Non moltissimi, a giudicare dallo sfogo della sindaca e dalle voci che fino a ieri arrivavano dal Movimento 5 Stelle, con la sottolineatura che se fosse stata condannata avrebbe dovuto dimettersi. Quindi, adesso che è stata assolta, è diventata più forte? All’improvviso abbiamo una brava sindaca, magari da ripresentare agli elettori nel giugno prossimo?
Agli occhi dei suoi sostenitori forse è così, ai nostri resta né più né meno ciò che abbiamo avuto di fronte in questi quattro anni di legislatura: un personaggio politico incapace di guidare una Capitale in profondissima crisi. Crisi di idee, di progetti, di risorse, di spinte ideali e creative. Crisi socio-economica e per molti aspetti civile. Una sindaca inadeguata circondata da figure altrettanto inadeguate alle quali è capitata tra le mani la patata più bollente del Paese (senza alcuna allusione a vecchie polemiche). Amministrare Roma dopo gli anni di Alemanno e quelli del “mondo di mezzo” era (ed è tuttora) un’impresa oggettivamente enorme, ma la risposta in questi quattro anni è stata un balbettio continuo, con oscillazioni tra una presunzione inspiegabile e un dilettantismo imbarazzante. Aggiungiamo che l’anno del Coronavirus, paradossalmente, ha finito con l’aiutare l’attuale giunta: da un lato l’attenzione generale si è spostata sulla pandemia e i suoi effetti, dall’altro c’è stato come un effetto congelante su molti dei temi aperti e mai minimamente risolti. Ma da questa infinita apnea prima o dopo la città dovrà riemergere, e allora si faranno i conti con tutto ciò che non è stato mai fatto, mai affrontato, mai neanche pensato e programmato.
In questi anni Roma ha continuato a perdere contatto con le altre capitali dell’Occidente che marciano sulle ali di una progettualità tesa a farle diventare, sempre di più, poli d’attrazione per le nuove generazioni di viaggiatori globali. Roma ogni anno si vede degradare nelle classifiche nazionali e internazionali, le giovani generazioni non ce l’hanno nel radar e i problemi metropolitani (rifiuti, trasporti, degrado, servizi, governance) sono sotto gli occhi di tutti. Pertanto, come già scrivemmo a suo tempo, adesso che è stata assolta, Virginia Raggi potrebbe finalmente valutare l’ipotesi di prepararsi a fare altro nella vita. A testa alta – come dice lei – sul piano etico e morale. E certo non è poco. Con molto meno vanto sul piano dei risultati, perché Roma non sta messa tanto bene. Proprio no.