Batteria Nomentana | La Storia
Ecco come nacque la Batteria Nomentana
Il 20 settembre 1870 è una data cardine della storia d’Italia: La Breccia di Porta Pia strappa Roma al potere pontificio e la trasforma da simbolo del Papato a capitale del neonato Stato italiano. Conquistata la città, però, si presenta il problema di come preservarla da possibili incursioni esterne: le Mura Aureliane che hanno ceduto di fronte ai cannoni dell’esercito italiano adesso potrebbero rivelarsi ancor più inadeguate contro un altro nemico.
Matura così l’idea di fortificare i confini della città: il progetto prevede di realizzare un campo trincerato formato da 15 forti da piazzare lungo le vie consolari e quattro batterie da installare nei punti in cui i forti sono più distanti tra di loro: a Porta Furba, all’Appia Pignatelli, sul Tevere e infine sulla Nomentana.
Nasce così la Batteria Nomentana, una struttura gigantesca che sorge lungo la via che porta il suo nome. Al suo interno sono ospitate oggi la caserma E. Bianchi con ingresso in via Nomentana 274, sede del comando logistico dell’Esercito, e la caserma C. Amione, con ingresso su via della Batteria Nomentana.
Ma torniamo alla fine dell’800, quando nasce la Batteria Nomentana. I suoi cannoni, puntati verso la Valle dell’Aniene, in realtà, resteranno per sempre silenziosi. Ben presto, infatti, ci si rende conto che tutti gli sforzi fatti per munire la città di difese sono stati inutili. Perché Roma si sta espandendo oltre i suoi confini storici, e forti e batterie sono troppo vicini alle abitazioni. Basti pensare al caso della polveriera di Monteverde, una delle strutture del Forte Preneste, che il 23 aprile del 1891 esplode provocando quattro morti, centinaia di feriti, oltre a danni per milioni di lire.
Così, quei cannoni che guardano verso la Valle dell’Aniene, pronti a fare fuoco sul nemico, sono rimasti per sempre dormienti.
Questa e altre storie sull’origine dei luoghi simbolo del nostro territorio sono raccontate nel libro “La Storia di Montesacro. Dalla preistoria ai giorni nostri” (Typimedia Editore).
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