14 Aprile 2021 - 12:57 . Montesacro . Cultura
14 aprile 1965: a via del Casale Giuliani moriva suicida il poeta Franco Costabile
di Vincenzo Costabile
Il 14 aprile 1965 moriva suicida nella sua casa di Montesacro il poeta calabrese Franco Costabile. Quel giorno ad allertare le forze dell’ordine fu un postino, che passando davanti la sua abitazione in via del Casale Giuliani sentì un forte odore di gas.
Una volta arrivati sul posto, i carabinieri trovarono il corpo senza vita del poeta, insieme a una lettera in cui Costabile chiedeva perdono alla moglie, Mariuccia Armao, per l’estremo gesto. La donna, con la quale il poeta calabrese si era sposato nel 1953 e dalla quale ha avuto due figlie, si era trasferita a Milano portando con sé le due bambine.
Una fine solitaria per un poeta che ha conosciuto sin da piccolo il dolore del distacco: il padre, di Sambiase, oggi Lamezia Terme, aveva abbandonato la moglie quando Franco Costabile doveva ancora nascere, per andare a lavorare in Tunisia come insegnante. “Si muore d’asfissia, è noto, per difetto d’ossigeno. Lo si può anche, e forse più dolorosamente, per mancanza d’affetto”. Con questi versi Giorgio Caproni si riferiva al collega e amico di Lamezia, morto suicida all’età di 41 anni.
Durante gli studi universitari di Lettere svolti a Roma, Costabile strinse un forte rapporto con Giuseppe Ungaretti, suo professore di Letteratura Contemporanea: in Costabile, Ungaretti rivedeva il figlio che aveva da poco perso, in Ungaretti il poeta lametino vedeva la figura paterna che era sempre stata assente nella sua vita.
Ungaretti scriverà per la morte di Costabile dei versi, oggi riportati sulla sua lapide a Lamezia Terme, nel cimitero di Sambiase:
“‘Con questo cuore troppo cantastorie’
dicevi ponendo una rosa nel bicchiere
e la rosa s’è spenta poco a poco
come il tuo cuore, si è spenta per cantare
una storia tragica per sempre”.
La raccolta di poesie più famosa di Costabile è “La rosa nel bicchiere e altre poesie”, pubblicata nel 1961. In quest’opera il poeta fa propria la sofferenza del popolo calabrese del Secondo Dopoguerra, che tra i soprusi dei potenti, la povertà e l’emigrazione riesce comunque a conservare il candore e l’umanità di una vita vissuta in comunità e in armonia con i frutti della terra.
“Calabria,
bastione
di pazienza.
Un lamento
di lupi,
i tuoi inverni.
Calabria,
famigliola
al braciere.
Francesco di Paola
il tuo sole.
Calabria,
casa sempre aperta.
Un arancio
il tuo cuore,
succo d’aurora.
Calabria,
rosa nel bicchiere.”