Montesacro | Rita Maria Turone

Rita Maria Turone, la psicoterapeuta con Montesacro nel cuore

di Daniele Petroselli

“Come non amare Montesacro?”. Rita Maria Turone non nasconde il suo forte legame con il quartiere. E pensare che non c’è nata. Di origini siciliane, psicoterapeuta per professione, è legata a questa zona a doppio filo: “Ho lo studio di fronte casa (via Val d’Ossola, ndr), quindi lo vivo a 360 gradi Montesacro, da mamma a professionista”.

“Sono proprio innamorata del quartiere, penso che sia un piccolo paese dentro una grande città – ammette la Turone -. Si respira una dimensione famigliare, c’è una rete sociale molto attiva, c’è aiuto reciproco tra le persone, ci si conosce tutti. E poi i parchi di zona sono davvero aggreganti. Per i nostri figli, avere le scuole e subito accanto dei parchi dove incontrarsi è bellissimo. Vivere la maternità qui è l’ideale. Avere tutto a pochi passi, il verde, non è da tutti”.

E per spiegare tutto ci racconta un episodio accaduto qualche tempo fa: “Mio figlio, quando aveva sei anni, faceva sport nella palestra della scuola. Si perse uscendo, perché era attardato e io, che ero fuori, mi sono allontanata per cercarlo al parchetto, perché pensavo fosse andato lì. Ero spaventatissima ma nel giro di poco si è attivato l’aiuto di tutte le mamme e alla fine lo abbiamo ritrovato. Si è creato un sostegno spontaneo, cosa impensabile in una grande città. Ma Montesacro è questo ed è bellissimo”.

La psicoterapeuta Turone, ormai da 20 anni nel quartiere, dove ha anche il suo studio

“Dal punto di vista economico ci sono stati dei danni enormi. Nel lockdown, quando siamo stati costretti a rimanere a casa, le famiglie che vivevano situazioni pregresse di normalità hanno reagito abbastanza bene, anzi. Mi hanno raccontato in tanti di aver riscoperto foto, di aver fatto attività che prima, visto il ritmo frenetico che si aveva nella vita di tutti i giorni, non riuscivano a fare. Oggi invece la situazione è degenerata, per tutti: c’è più incertezza, paura di cosa ci aspetta. L’epidemia da Covid ha creato una situazione confusa, che ha colpito tutti i campi, soprattutto quello sociale. Se prima il sentimento era quello della paura del virus, oggi è quello della rabbia, che preoccupa ben di più. Persone che hanno disagio ce ne sono, ma il Covid sta esasperando queste situazioni”.

Inoltre se prima la paura era quasi del tutto incentrata sul coronavirus, adesso l’aspetto del lavoro sta prendendo il sopravvento. Con i nuovi stop alle attività, il rischio di rimanere a casa senza uno stipendio sta incidendo tanto: “C’è grande incertezza per quello che sarà. Il coprifuoco, le attività che tornano a chiudere, è una situazione che mette paura proprio per l’incertezza che porta. E poi tutto è amplificato dalla narrativa corrente, che mostra l’aumento esponenziale dei casi di contagio”.

E sono diverse le categoria a rischio ora: “La fragilità è generalizzata. Le richieste di aiuto sono aumentate, cosa mai vista finora. E a chiedere aiuto sono tanti: dagli adolescenti, che accusano di più queste regole, ma anche le persone sole, non solo gli anziani. E poi anche il personale sanitario, visto che da diversi mesi ormai sono in prima linea, che hanno in molti casi disturbi post-traumatici da stress. Ma anche gli insegnanti“. E la Turone lo sa bene: “Oltre a fare la psicoterapeuta, faccio anche l’insegnante in un liceo di scienze umane fuori dal quartiere. La situazione è davvero difficile da gestire con i ragazzi. In più mettiamoci le paure di tanti insegnanti del virus”. Ma soprattutto le famiglie: “Se nel lockdown, nonostante il disagio, hanno retto, ora hanno molta più difficoltà. La pandemia ha portato allo scoperto nevrosi, ansie, stress, che prima erano solo nascoste. Anni fa la vita era molto più semplice, oggi invece ci sentiamo poco in sintonia con il mondo“.

La dottoressa Rita Maria Turone

“Il problema principale oggi è che se un paziente psichiatrico ha bisogno, può rivolgersi al servizio sanitario. Ma rispetto al disagio psicologico, la cura rimane un lusso per poche persone. Di 4 individui che chiedono sostegno psicologico, il sistema sanitario oggi riesce a dare aiuto a una sola persona. Del restante 75%, il 40% riesce a pagarsi una terapia privata, ma il restante 35%  rimane scoperto. E in questi casi si ricorre allo psicofarmaco. E il 18 % è rappresentato da ansiolitici, e questo è molto pericoloso. Il farmaco tappa solo una situazione di disagio, ma non ripara il guasto”.

E allora un consiglio è d’obbligo: “Se avete bisogno, dovete chiedere aiuto, denunciate i vostri problemi”.


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