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I delitti di Peronaci nella Roma che confonde fiction e realtà
di Luigi Carletti
Per chi scrive di fiction, la soddisfazione più grande è assistere alla trasformazione del proprio mondo in quello dei lettori: personaggi di fantasia che diventano personaggi reali, al punto di entrare nella vita vera di tutti i giorni, elevandosi a figure paradigmatiche di situazioni che fotografano la società in cui viviamo. Ne è un esempio la fiction di genere, noir o giallo che dir si voglia: quel tipo di narrativa che racconta intrecci e misteri, non di rado con dettagli molto crudi, condita ovviamente da colpi di scena, ambienti torbidi e piste false. Roma, in quest’ambito, è uno scenario ideale, tant’è che molta della fiction di genere (libri e film) ha la nostra città come teatro privilegiato.
Ce n’è talmente tanto, di questo racconto, ed è così (generalmente) di buona qualità, che ormai si fa fatica a capire dove finisca la finzione e cominci la realtà. O viceversa. Abbiamo cioè una città in cui spesso non è facile tirare una linea di demarcazione tra cronaca e narrativa, capire dove finisca la storia vera e cominci quella autoriale. Se questo sia positivo, onestamente, è difficile dirlo. Vediamo però che nella società ipernutrita di informazioni e di comunicazione tambureggiante, quest’effetto di ibridazione è sempre più evidente.
Questo quadro mi è apparso in tutta la sua evidenza l’altra sera alla libreria Feltrinelli di viale Marconi, dove come editore ho partecipato alla presentazione del libro “Morte di un detective a Ostiense e altri delitti”, scritto da Fabrizio Peronaci, noto giornalista del Corriere della Sera e autore del volume per la collana “Fattacci” di Typimedia. Un volume, quello di Peronaci, dedicato a 13 casi irrisolti nella Capitale dal 1990 al 2000. Casi veri, con vittime vere e assassini (mai scoperti) altrettanto veri.
Per parlare del libro, Peronaci aveva attorno a sé il criminologo Gianfranco Marullo, il giornalista Paolo Foschi e Massimo Saggia Civitelli, figlio del detective ucciso alla stazione Ostiense. Presentazione ovviamente molto interessante, anche perché – anticipazione fornita da Massimo Saggia Civitelli – il caso potrebbe essere riaperto in quanto in questi anni (un quarto di secolo) sono emersi elementi che all’epoca furono trascurati. Non solo: la possibilità di una riapertura delle indagini riguarda anche alcuni altri di questi “cold case”.
Tutto bene, quindi? Fino a un certo punto. Perché per tutta la presentazione ho come percepito nel pubblico la sensazione di una condizione di “sospensione” tra realtà e finzione. Della serie: quanto c’è di vero e quanto è fantasia? Sensazione che mi è stata confermata a fine serata, quando due dei presenti mi hanno fermato chiedendo se si trattasse di un romanzo o di qualcos’altro. “Non è un romanzo, sono storie vere al cento per cento” ho replicato io. “Del resto – ho aggiunto – se avessimo parlato di un romanzo, il figlio della vittima accanto all’autore chi sarebbe in realtà, un attore?”.
La risposta è stata illuminante: “Se ne vedono tante di storie così, dove le ricostruzioni utilizzano attori e attrici…”. Potenza della tv, verrebbe da dire. O forse overdose di narrativa in cui il confine tra realtà e fiction, appunto, a molti rischia ormai di sfuggire con la conseguente produzione di una marmellatona indistinta di informazioni che ci rende tutti più distratti e scivolosi rispetto alla potenza dei fatti reali.
Certo che nel ripensare alle rigorose ricostruzioni di Peronaci nei 13 cold case, può anche venire da sorridere al pensiero che qualcuno possa confonderle per un lavoro di fiction. Il sorriso però svanisce immediatamente se il pensiero va a chi è rimasto senza vita su un marciapiede o un pavimento, o a chi è scomparso nel nulla, e soprattutto alle famiglie di queste vittime. Credo che se potessero, queste persone sarebbero le prime a convertire la realtà in fiction, svegliandosi così da un terribile incubo. Purtroppo però questo non è possibile. Quello che invece è possibile, è capire che quelle storie sono vere, come sono veri i responsabili che l’hanno fatta franca. Almeno fino ad oggi.