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Viale Somalia, la strada del commercio amata dal cinema

di Antonio Tiso

Porta il nome di un’ex colonia italiana in Africa. Viale Somalia è una delle principali arterie del Trieste-Salario. Strada commerciale ben collegata, incastonata tra piazza Gondar e via Salaria, si trova a ridosso della stazione Nomentana, e pochi passi da Villa Chigi, “il giardino di casa”. Prima della guerra, lungo viale Somalia nascono numerose abitazioni popolari destinate ai ferrovieri, demolite durante il conflitto per lasciar posto a un’edilizia residenziale anni ’60 e ’70, destinata alla media e benestante borghesia, dai professionisti ai funzionari di stato, fino a persone di cultura provenienti non solo da Roma ma anche da altre parti d’Italia. Le botteghe storiche, oggi per la maggior parte chiuse, sono state a lungo il cuore pulsante dell’arteria. Qui nascono storie e personaggi, dal negozio delle lane a quello di dischi Volpi, con due salette acustiche per ascoltare gli ultimi 45 giri, dall’uccellaio Morrione, appassionato di animali, al calzolaio Basso.
Qualcuno in zona dice: «Il cinema ama viale Somalia». Sì, perché è dagli anni Cinquanta che qui si girano scene di film. La prima fu l’inseguimento di Aldo Fabrizi a Totò nel ’51 in Guardie e ladri, che inizia proprio all’angolo con via Salaria. Poi dal ’53 la lista di pellicole si allunga: La valigia dei Sogni di Luigi Comencini, I soliti ignoti di Mario Monicelli, Il segno di Venere di Dino Risi e altri ancora, fino ad arrivare al presente, con Michele Placido regista che ambienta alcune scene dello sceneggiato Suburra da Kent.
Oggi la zona conta una grande eterogeneità di abitanti: per lo più anziani e coppie più o meno giovani con figli. Ma sono numerosi gli studenti, sia romani che fuori sede, che decidono di abitarvi, vista la vicinanza con la Sapienza e la Luiss. Le note dolenti? Traffico, parcheggi, buche e rifiuti.

Fabio Belli, 55 anni, è il fioraio storico di largo Somalia

Il fioraio: “Le sassaiole con i ragazzini e quel pallone fatto di giornali”
Fabio Belli, 55 anni, è il fioraio storico di largo Somalia. I suoi nonni, Angelo e Maddalena, aprirono il chiosco nel 1954. «All’epoca era fatto a scalette in ferro – racconta – completamente aperto e prendevi un gran freddo. Il mio è più moderno». Ma come è cambiato il volto di viale Somalia e dintorni? Fabio ce lo racconta con una punta di malinconia: «Da bambino vivevo alla fine di via Mascagni, dove oggi sbocca la tangenziale. C’erano pochi casolari malandati e sotto passava il fosso di San’Agnese. Era tutta una fila di baracche. C’erano molti prati. Coi bimbi del fosso facevamo a sassaiola, loro erano un po’ malandrini. Ci separava solo una scaletta e allora bastava poco per scatenare piccole battaglie. Abbiamo rotto più di qualche vetro». Sono ricordi di pasoliniana memoria quelli di Fabio: «Giocavamo alla cavallina, ma soprattutto a calcio, anche senza un pallone vero: ci arrangiavamo ammucchiando la carta di giornale per fare una specie di palla». Quali invece le differenza tra ieri e oggi? «Prima c’erano più spazi e meno macchine. Viale Somalia era più vivibile. Eppure rimane una delle migliori strade di Roma per tranquillità e servizi».

La farmacista: “Ancora oggi qui si vive come in un piccolo paese”
“Il bello di viale Somalia è che c’è una vita di comunità. Qui molti mi hanno vista nascere, si ricordano di me da bambina e quando lavoro la domenica mi portano il caffè». Micaela Caprino, 46 anni, gestisce la farmacia aperta dal nonno Giovanni nel 1966 e lo fa con la stessa gioia di quando veniva qui da piccola per giocare nel retrobottega. Per gli abitanti della zona, questo è una sorta di presidio medico cui rivolgersi quando non stanno bene: «Vengono qui anche solo per chiedere un consiglio. C’è pure chi ha il mio cellulare e mi chiama direttamente. Viviamo come in un paesino». Per Micaela i primi ricordi di viale Somalia partono da qui: «Ho ancora in mente le zigulì a base di frutta che mi offrivano i nonni in farmacia, e poi le passeggiate per andare all’emporio a comprare un gioco. Negli anni ’70 non erano ancora arrivate le grandi catene di distribuzione, esistevano solo i negozi di quartiere».
Ma quali sono i cambiamenti principali di questa via? «Non mi piace la gestione di buche e spazzatura. L’Ama non raccoglie mai i cartoni. Alle 19.30 li mettiamo fuori e il giorno dopo li ritroviamo per strada. Dall’altra però viale Somalia si è ringiovanito, ci sono più famiglie con bambini».

Andrea Gorello ha 46 anni e gestisce l’edicola da quasi 20

L’edicolante: “Ma l’anima e l’identità si sono un poco smarrite”
Andrea Gorello ha 46 anni e gestisce l’edicola da quasi 20. «Con mia sorella l’abbiamo rilevata nel 2000, ma esiste dagli anni Sessanta», spiega. Per lui viale Somalia non è più l’immagine da cartolina che si vede nell’archivio di foto storiche di Roma Sparita. «Da quando sono qui è cambiata in peggio», spiega senza giri di parole. «Come tutta la città ha risentito di un crollo drastico: servizi, strade, marciapiedi, manutenzione del verde. Sembra un po’ tutto abbandonato ora». C’è però un avvenimento che agli occhi dell’edicolante ha rappresentato una sorta di spartiacque, dando a viale Somalia la fisionomia attuale. È la chiusura del cinema Ritz nel 2005. «Con l’apertura al suo posto della sala Bingo sono cambiate le persone che frequentano la zona, specie la sera e la notte. Prima c’era un’attrattiva culturale. Ora è un luogo dove si scommettono soldi. Poi con la chiusura dei negozi storici, è diventato tutto un aprire e chiudere nuove attività commerciali, anche piuttosto dozzinali, ma così si è persa l’anima e l’identità. Ora la strada dei nostri nonni è irriconoscibile. Prima era più piacevole camminarci, c’erano anche più piante. Ora invece da quando hanno cambiato la segnaletica semaforica a piazza Gondar, il traffico è un caos».

Emilio Miconi, ex portinaio a largo Somalia, 85 anni

Il portinaio: “Negli anni ’70 al bar della piazza per guardare tutti insieme la tivù”
“Arrivai a Roma nel 1965 con 550 lire in tasca. Fui assunto dall’Inpdai come portiere al civico 47 di largo Somalia». È il racconto di Emilio Miconi, nato nel 1934 a Serra Petrona (Macerata). Parla con dolcezza. Conserva ancora l’accento dei luoghi d’origine. Quando arrivò a viale Somalia, l’uomo non aveva esperienza di portineria, veniva da un paesino, ma le sue maniere conquistarono presto gli abitanti del condominio: «Ancora oggi ricevo regali dai condomini. Per presentarmi, il primo giorno di servizio, posi due piante altissime all’ingresso del palazzo. Per Natale regalavo alle famiglie un biglietto della lotteria di Capodanno e del muschio, come portafortuna». Fin da subito Emilio capì che le persone non si conoscevano fra loro e allora cercò di creare una comunità-paese, dove non ci fossero estranei: «Un giorno potreste avere bisogno d’aiuto, gli dicevo, presentatevi, fate amicizia». Per Emilio il lavoro non finiva mai, casa sua era sempre aperta: «Sotto le feste mi capitava di ospitare a pranzo persone del palazzo che vivevano sole». Un ricordo ancora emoziona Emilio: «Negli anni ’70 guardavamo la tivù seduti al bar della piazza. Era gestito da due laziali. La sera ci mettevamo fuori con le sdraio».

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