Trieste-Salario | Articoli

Un anno e sette mesi, la vita media di un negozio

di Camilla Palladino

Un anno e sette mesi. È questa la durata media di un’attività commerciale che apre a Roma, stando ai dati diffusi dalla Camera di Commercio. Una vita piuttosto breve se paragonata, per esempio, a quella delle botteghe storiche, negozi attivi da oltre cinquant’anni. E la tendenza si conferma anche nel Trieste-Salario. Basta fare un giro per viale Somalia, o nelle strade limitrofe: colpisce la quantità di serrande abbassate. Alcune accompagnate dal solito cartello “Affittasi”. Altre sono chiuse e basta.
Giulio Anticoli, presidente delle associazioni botteghe storiche di Roma e Assomalia, nonché commerciante del Trieste-Salario, ha descritto il fenomeno a RomaH24: «Il turnover delle attività commerciali è diventato compulsivo. Per quanti locali possano aprire, ce n’è sempre qualcuno che chiude. E questo dà un metro di misura di quella che è l’economia della Capitale», dice. Non solo: Anticoli ha registrato una certa ciclicità nel ricambio continuo di gestori e proprietari. «In viale Somalia – racconta – ci sono diverse attività che vivono lunghi e sfortunati periodi di chiusura. Un anno e mezzo fa quegli esercizi commerciali erano stati affittati. Ma oggi sono nuovamente inattivi». E aggiunge: «È un’economia non più sostenibile. Permette di aprire a molti, ma costringe altrettanti – se non di più – a chiudere».

Ma ci sono tipologie commerciali più a rischio?
«Non ce n’è una in particolare: negozi di abbigliamento o accessori – elenca Anticoli – alimentari, bar, enoteche. A chiudere sono gli esercizi commerciali più diversificati».
E in effetti i locali sfitti o non occupati del Trieste-Salario che hanno ancora l’insegna esposta sono di tutti i tipi. Un’orologeria in largo Somalia, che comprendeva tre grandi vetrine su strada – i civici 19, 20 e 21 –, un alimentari in via Filippo Marchetti, uno snack bar di via Antrodoco. E poi ci sono le due enoteche. Quella di largo Forano 14, in attesa di riapertura da parte di un nuovo gestore, come indica il cartello appeso all’entrata. E quella di via Sebino, il grande locale che fa angolo con via Taro. Quest’ultima era una vineria storica del quartiere. Ma ha abbassato le sue serrande circa trent’anni fa, e a tutt’oggi non dà segno di volerle rialzare.
E se non c’è una tipologia di attività che chiude con più frequenza, ce n’è però una che può vantare una durata maggiore. Sono gli esercizi commerciali che hanno il permesso di somministrare cibo e bevande. Ma anche qui i problemi non mancano «Il mercato del food and beverage si sta saturando – spiega ancora Giulio Anticoli – da quando è entrato in vigore il decreto Bersani del 2006. La liberalizzazione comprendeva l’eliminazione delle distanze obbligate tra esercizi della medesima tipologia, e delle tabelle merceologiche (che limitavano le autorizzazioni di vendita, ndr). In poche parole, ora bar e ristoranti possono aprire uno accanto all’altro. E la concorrenza spietata costringe molti locali neonati a chiudere rapidamente».

Crisi, non è colpa solo degli alti costi
«Sono tre le cause principali della crisi del commercio nel Trieste-Salario – sostiene Paolo Leccese, presidente della commissione Commercio del II Municipio – Richieste di affitto o di compravendita esorbitanti, licenze contingentate e cambiamenti nelle regole catastali».
Stando agli ultimi dati del “Listino Ufficiale della Borsa Immobiliare di Roma”, edito da Tecnoborsa, il valore d’acquisto degli immobili è pari a 4 mila euro al metro quadrato al Salario. Scende a 3.800 spostandosi verso il quartiere Trieste. Stesso discorso per gli affitti, troppo elevati per le possibilità economiche degli imprenditori, soprattutto quelli più giovani: 19,50 euro al metro quadrato la richiesta media nel quartiere Salario e “solo” 19 euro in zona Trieste.
Spiega ancora Leccese: «Altro motivo per cui i locali rimangono chiusi a lungo sono le licenze contingentate: se un locale di un certo tipo (per esempio una pizzeria) chiude e la licenza viene riconsegnata, l’immobile potrà ospitare solo un’attività commerciale differente». E aggiunge: «Va da sé che alcuni angoli del quartiere sono una miniera d’oro per i locali che somministrano cibo e bevande. Ma quando un ristorante chiude, difficilmente il suo posto viene occupato».
Infine, ci sono i criteri edilizi e l’accatastamento del locale. «I criteri per aprire un’attività commerciale oggi sono cambiati. Locali che un tempo potevano somministrare cibo e bevande, per esempio, oggi non possono più farlo» racconta Leccese. E conclude: «Così come le regole catastali. Un locale di tipologia C/3, cioè un magazzino, un tempo poteva ospitare un’attività di artigianato. Oggi non più».

LEGGI lo speciale (a cura di Daniela Mogavero)

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