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Quel Museo proprio accanto a dove abitò Mussolini

di Daniela Mogavero

Roma, come tutte le grandi capitali del mondo, deve avere un museo della memoria, il Museo della Shoah: ne ha bisogno «per educare la gente affinché certe cose non si ripetano, soprattutto in un momento come questo, in cui ci sono rigurgiti nazifascisti ovunque». Ne è convinta Daniela Manasse, architetto di formazione, giornalista per scelta da una vita, attiva nella comunità ebraica e moglie dell’archistar Luca Zevi che del progetto del Museo è l’ideatore.

«Penso che sia fondamentale che ci sia un museo come quello della Shoah a Roma. L’Italia ha sperimentato nella sua storia gli stessi tragici eventi di altri grandi Paesi europei e non è detto che non ne possa riavere – spiega Manasse – è importante per non dimenticare. Basta guardare a quanto di sconvolgente accade in Germania dove sembra che la gente abbia voglia di tornare indietro di decenni», aggiunge facendo riferimento alle manifestazioni dell’ultradestra contro i migranti.

Il Museo, quindi, deve vedere la luce e soprattutto deve mantenere la destinazione scelta: Villa Torlonia. «È la nemesi storica, la scelta del sito è interessante, oculata e significativa, perché non sarebbe uguale se il Museo fosse costruito in un’altra zona». Una location, accanto a quella che fu la residenza di Mussolini, che nella comunità ebraica, però, aveva provocato qualche malumore, perché fuori dai confini dei cosiddetti “ebrei romani” e in pieno territorio “tripolino”. Ma su questo fronte Manasse smorza qualsiasi tipo di polemica: «Non ho mai sentito problemi del genere, le due comunità si sono fuse tramite infiniti matrimoni: è un esempio di convivenza fantastica, le loro tradizioni non hanno fatto altro che arricchire la comunità romana».

Una dura stoccata, però, Manasse, che dal 2004 abita nel quartiere, la riserva all’amministrazione e alla gestione di Roma: «Quello che vedo dall’arrivo della giunta M5S è il degrado di questa città che nel Trieste-Salario si vede benissimo, con gli alberi caduti sei mesi fa ancora recintati, una schifezza. Come la savana al centro di corso Trieste o a piazza Istria. È una vergogna per una città europea, una capitale come Roma».

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