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Esquilino, sfida tra grande bellezza e feroce degrado

di Fausto Gianì

Subito a sud della stazione Termini comincia il rione Esquilino. Oggi I Municipio, nell’antica Roma era “fuori città” – e secondo alcuni il suo nome vuol dire il contrario di “inquilino”. Oggi luogo multietnico per eccellenza, sino al 1880 sede di residenze patrizie. Ma Roma, una volta diventata capitale, aveva bisogno di ampliarsi per ospitare la nuova borghesia del Regno d’Italia. E fu un architetto non ancora 30enne, Gaetano Koch (romanissimo a dispetto del cognome tirolese), a dare all’Esquilino la sua forma attuale. Il nuovo quartiere sorse intorno alla piazza Vittorio Emanuele II, progettata come fosse il centro storico di Torino, la città dei Savoia: i palazzi con i portici a circondare un vasto giardino botanico dal perimetro rettangolare lungo circa un chilometro. E i nomi delle strade, oltre agli scontati omaggi alla casa Savoia, sono quelli dei grandi italiani da Dante a Leopardi, da Machiavelli a Buonarroti.

Grazia e rigore degli edifici umbertini

Quartieri come il Trieste-Salario, Prati o il Nomentano hanno sempre confermato la loro iniziale vocazione di quartieri borghesi. L’Esquilino invece no. È un luogo in perenne mutamento, un laboratorio, un esperimento, un arcobaleno culturale ed esistenziale, dove la grande bellezza si scontra con la ferocia del degrado. A ben guardare, fra la grazia e il rigore architettonici degli edifici umbertini, scopri un disordine inimmaginabile, ma purtroppo terribilmente reale.

Il quartiere multietnico

Ed è anche il luogo che più di ogni altro a Roma non ha una identità precisa. A cominciare dalla tipologia dei suoi abitanti. Su circa 22 mila abitanti censiti ufficialmente, 17 mila sono italiani, 2 mila i cinesi, 1.500 i bengalesi e il resto proveniente in ordine sparso da tutto il mondo, Africa, Asia, Europa e le Americhe. Guardando l’elenco dei campanelli accanto a un qualsiasi citofono: accanto alla famiglia che ci vive da sei generazioni ci sono un paio di nomi cinesi, il famoso regista, un gruppo di bengalesi che vendono ombrelli quando piove, una manciata di professionisti, uno o più B&B, la vedova dell’ex portinaio, alcuni studenti, un nucleo pakistano di religione islamica, la scrittrice affermata. La convivenza fra le tante etnie è pacifica, perfino le famigerate riunioni condominiali spesso lo sono. Non a caso qui è nata l’Orchestra di Piazza Vittorio, composta da eccellenti artisti provenienti da tutto il mondo e che oggi si esibisce i tutti e cinque i continenti.

Negozi di qualità ed eleganza

Anche l’alternanza delle attività commerciali lasciano sbalorditi. In tante vie è una teoria infinita di negozietti cinesi tutti uguali che espongono capi di vestiario tutti uguali. E ci sono anche troppi minimarket gestiti da asiatici. Sotto i portici, poi, le bancarelle che espongono tristi capi di abbigliamento a due soldi. Ma fanno capolino qui e là numerosi negozi di qualità ed eleganza garantite: diverse pasticcerie storiche come Regoli, Ornelli, D’Amore e la gelateria Fassi, il negozio di colori Belle Arti che serve i pittori di tutta Roma accanto alla piccola bottega di Raniero frequentata dagli appassionati della vera alta fedeltà, la sartoria dai rammendi magici e l’enoteca piccola ma con le etichette “giuste”, la rinomata norcineria Cecchini e le specialità etniche del foodstore Selli, pizza e pizzette del forno Roscioli e sfizi sia dolci che salati di Panella.

A frequentare questi luoghi, oltre ai residenti, gente da tutta Roma e turisti. E poi c’è naturalmente il Nuovo Mercato Esquilino, che vende frutta e verdure da tutto il mondo, è gestito da gente di tutto il mondo ed è il più fotografato e filmato del mondo.

La sera a cena

Va da sé che anche la ristorazione è multietnica e soddisfa tutti i gusti e tutte le tasche. Vicino a Santa Croce in Gerusalemme, Ottavio è uno dei migliori ristoranti di pesce della città. Per la cucina cinese c’è Hang Zhou, per tutti Sonia. Danilo fa una delle dieci migliori carbonare di Roma e la cucina romana del Tempio di Mecenate soddisfa residenti e turisti. I locali indiani raccomandabili sono almeno mezza dozzina e Kathmandu, l’unico nepalese, fa ottimi piatti ma è solo fast food e take away. Discorso a parte per il Mercato Centrale, nato da poco e ospitato nella Cappa Mazzoniana della stazione Termini: 18 botteghe artigianali, la carne e il pesce, il sushi e i trapizzini, il panino ghiotto e la pizza, birre e vini, formaggi&salumi e l’angolo vegetariano. Con orario continuato dalle 8 a mezzanotte.

Ma prima l’aperitivo

L’Esquilino non è uno dei quartieri della movida. La gente qui si muove con fluidità e discrezione, non c’è la confusione di Monti o Trastevere o Ponte Milvio. Per l’aperitivo con happy hour annesso, si va nei citati Panella e Roscioli, o da Gatsby sotto i portici, aperto da poco da un gruppo di giovani, che hanno rilevato una storica cappelleria, impedendo inoltre che il locale diventasse un’ulteriore minimarket o paccottiglia cinese. E sulla terrazza dell’hotel Radisson si può bere o cenare guardando dall’alto la stazione e i suoi treni.

Il declino

Spazzatura ovunque, strade colabrodo, verde trascurato: i mali che attanagliano tutta Roma ci sono anche qui. Ma alla noncuranza dell’amministrazione comunale, qui all’Esquilino c’è una criticità in più: la vicinanza della stazione. Da lì si riversano su piazza Vittorio e dintorni numerosi sbandati, senzatetto, disagiati psichici. E migranti che l’Italia ha accolto solo per modo di dire. Perché le istituzioni non si curano di loro, non ci sono sufficienti programmi di assistenza, di istruzione, di avviamento al lavoro di diritto alla dignità. Ad occuparsi di questi disperati, paradossalmente, c’è solo la criminalità organizzata. Che li sfrutta come bassa manovalanza per lo spaccio di droga, per la ricettazione, per le attività più losche. Su Colle Oppio, a un passo dalla maestosità del Colosseo e dagli splendori della Domus Aurea, a decine bivaccano i disperati. Altri dormono nei loro giacigli di cartone sotto i portici e sugli ingressi dei negozi. E piano piano i confini della “terra di nessuno” si estendono.

E la resistenza

Ma le sacche di resistenza sono in aumento. E sono soprattutto i tanti che hanno scelto di abitare all’Esquilino perché stregati dalla sua bellezza e dalla sua unicità. Insieme a loro, gli operatori economici più intelligenti. I comitati di quartiere fanno la loro parte. Prosperano le iniziative culturali, come l’associazione di cineasti Apollo 11 con la loro sala di proiezione documentari, l’unica in città. Davanti alla loro sede c’è la scuola elementare “Federico Di Donato”, diventata un simbolo di integrazione culturale e di lotta all’inerzia grazie alla combattività e allo spirito di iniziativa delle “Mamme della Di Donato” che inventano feste, laboratori, corsi di formazione, attività sportive e di ogni altro tipo coinvolgendo i bambini di tutte le etnie ma soprattutto i loro genitori. L’associazione di artisti residenti “Arco di Gallieno” si batte per restituire decoro al rione. L’Associazione esercenti cinematografici da vent’anni e fra mille difficoltà, porta in piazza Vittorio l’arena estiva che per un paio di mesi restituisce ai giardini il loro fascino unico. E Piazza Vittorio Aps, l’Associazione di promozione sociale, finanzia progetti di riqualificazione culturale della piazza. Una nuova libreria, sotto i portici, si è aggiunta alle tante già esistenti. E non è raro, infilandosi nei cortili interni di alcuni palazzi, imbattersi in una mostra d’arte estemporanea. Tanti piccoli tasselli di un mosaico fatto di persone che ogni giorno lottano per salvare l’Esquilino e restituirlo al suo originario splendore.

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