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Emanuela Orlandi e gli altri misteri del Trieste-Salario

di Emiliano Magistri

Emanuela Orlandi. Un nome e un cognome. Un volto e fiumi di racconti. Cronache, ipotesi, segnalazioni, depistaggi. Un caso con la “C” maiuscola. Un mistero, forse “il” mistero italiano per eccellenza. La giovane scomparsa a Roma nel giugno del 1983 per motivi, a oggi, ancora sconosciuti. O difficoltosi da spiegare del tutto, se volete. Dal Vaticano alla Banda della Magliana, passando per i Lupi grigi, Alì Agca e le telefonate “dell’americano” alla famiglia. Tante piste, nessun punto di arrivo. Il nome di Emanuela è tornato a galla, ancora una volta, da poche ore, per il ritrovamento di alcune ossa in via Po, all’interno della sede della Nunziatura apostolica di Villa Giorgina, seppur non sia ancora stato provato che appartengano effettivamente alla giovane. Siamo nel cuore del Trieste-Salario. Quello stesso Trieste-Salario che, da decenni, si porta dietro un elenco di altri casi di cronaca che non hanno ancora volti e nomi di colpevoli certi. Solo le identità, più o meno rispettate, di chi di quei casi è diventato, suo malgrado, amaro protagonista. Emanuela Orlandi sarebbe solo l’ultimo degli episodi che rendono il nostro quartiere il polo “noir” degli ultimi sessant’anni.

Il cadavere sulla spiaggia di Capocotta
In ordine cronologico è il primo caso che fa balzare il Trieste-Salario agli onori delle cronache. 12 aprile 1953. È il giorno in cui, sulla spiaggia di Capocotta, viene ritrovato il corpo senza vita di una donna bellissima: Wilma Montesi. Aveva da poco compiuto 21 anni. Viveva in via Tagliamento insieme ai genitori, alla sorella e ai nonni. Era fidanzata con un poliziotto in servizio a Potenza con cui, all’epoca della morte, era in procinto di sposarsi. Al momento del ritrovamento, Wilma era vestita solo di una sottoveste e priva di altri indumenti, borsa e qualsiasi altro tipo di effetto personale. A casa non avevano più notizie di lei da tre giorni. Inizialmente la polizia archivia il caso come incidente, ma i dubbi crescono con le inchieste dei giornali dell’epoca che coinvolgono nella vicenda figure vicine a importanti cariche istituzionali. Paese Sera scrive che i vestiti della donna sarebbero stati portati in questura da un giovane chiamato “il biondino”. La rivista di destra, Il merlo giallo, pubblica una vignetta che raffigura un piccione che stringe nel becco il reggicalze di Wilma. Solo più tardi si farà il collegamento con Piero Piccioni, stimato compositore e figlio del vicepresidente del Consiglio ed esponente di spicco della Democrazia Cristiana, Attilio Piccioni. Poi Adriana Concetta Bisaccia, giovane giunta a Roma con il sogno di lavorare nel mondo del cinema, racconterà di un festino con droga e orge nella tenuta di Capocotta a cui partecipò anche Wilma. Piccioni e Ugo Montagna, proprietario proprio della tenuta, vengono accusati di omicidio colposo (il primo) e favoreggiamento (il secondo). Il processo li scagionerà, ma negli anni successivi faranno perdere le loro tracce insieme alle altre figure “di spicco” coinvolte della vicenda. Il caso rimarrà irrisolto.

La decapitata del lago
Antonietta Longo. Questa l’identità del cadavere che, il 10 luglio 1955, viene ritrovato sulle rive del lago di Albano da due uomini, Antonio Solazzi e Luigi Barbon. Lavorava come domestica a casa di Cesare Gasparri in via Poggio Catino, a due passi da piazza di Sant’Emerenziana. Il corpo della donna è privo di indumenti, di utero e ovaie, ma cosa ancor più agghiacciante, della testa. Per la cronaca dell’epoca il caso verrà subito identificato come “la decapitata del lago”. Al polso un orologio di marca Zeus di cui, un orologiaio di piazza di Sant’Emerenziana, racconta di aver venduto il cinturino proprio alla giovane. Un aborto andato male, l’incontro con un uomo sbagliato, la lettera della stessa “Ninetta” in cui si faceva accenno a un suo ritorno in Sicilia dopo aver ritirato dalla banca i risparmi di anni di lavoro. Risparmi, poi, spariti. Così come la verità sul secondo caso che scuote il Trieste-Salario.

La scomparsa di Mirella Gregori
Sono circa le 15:00 del 7 maggio 1983. Mirella Gregori ha 15 anni ed è figlia dei gestori di un bar in via Volturno. Giustifica ai genitori l’uscita pomeridiana improvvisa con un appuntamento in programma a Porta Pia, sotto al monumento del bersagliere, con un vecchio compagno di scuola. Da quel momento, Mirella svanisce nel nulla. Si tratta di un caso che, per cause simili e allo stesso tempo diverse, viene collegato a quello di Emanuela Orlandi. Alì Agca, militante dell’organizzazione terroristica turca dei “Lupi grigi” ed esecutore materiale dell’attentato a papa Giovanni Paolo II, dichiara più volte che le due ragazze sono in possesso proprio dei terroristi turchi. Secondo un ex ufficiale della Stasi, il servizio segreto della Germania Est, invece, sarebbero stati proprio i servizi tedeschi, insieme a quelli bulgari e al Kgb, a sfruttare il caso di Emanuela Orlandi per sviare, con falsi comunicati, le indagini sulla “pista bulgara” dell’attentato al papa. Mirella Gregori, ancora oggi, resta un caso irrisolto.

LEGGI l’intervista a Pietro Orlandi (a cura di Daniele Galli)

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