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Elena, madre allo stremo: “Un figlio disabile, ma per la Asl non è grave”

di Federica Capati

Settecento o ottocento euro al mese sulla base di una graduatoria stilata dai Municipi e dalle Asl. È questa la cifra che può essere erogata a sostegno delle persone con gravissime disabilità. Un contributo mensile introdotto dal Campidoglio che vuole essere un modo per incentivare la permanenza di un disabile in famiglia. Un sussidio temporaneo che viene dato in base alle richieste dei cittadini secondo una graduatoria unica cittadina, redatta dalla Asl e dal Municipio, che insieme stabiliscono i requisiti per classificare il tipo di disabilità.

Elena e Mario e il bonus negato

“Peccato che il criterio per individuare la disabilità sia del tutto incoerente e arbitrario”. Elena Improta è la mamma di Mario, un ragazzo di 29 anni che sin dalla nascita – a causa di un errore al momento del parto – soffre di una tetraparesi spastica. Elena è stanca. Stanca di fare l’equilibrista, di camminare su un filo, come dice lei. “Chi ha un disabile in famiglia vive su un filo sospeso. Facciamo un mezzo passo avanti e tre indietro”. Il 26 luglio, Elena ha richiesto al II Municipio il bonus di 700 euro per suo figlio. Ma le è stato negato perché a Mario non è stata riconosciuta la disabilità gravissima prevista dalla graduatoria. “Il direttore sanitario della Asl di via Tagliamento non ha concesso a mio figlio lo status di “disabile gravissimo” che gli avrebbe fatto avere il contributo del Comune – spiega Elena -. È assurdo. Assurdo perché Mario è considerato talmente grave da non poter essere accettato nei centri diurni. Talmente grave che nel dicembre 2017 è stato mandato via dal centro Don Orione perché il suo era un caso troppo difficile da gestire. Ma non così grave, si vede, da ricevere il bonus”. Anche i medici di Tor Vergata, a cui Elena si è rivolta dopo il rigetto della richiesta del bonus, hanno classificato come gravissima la disabilità di Mario.

Lo scontro con la Asl Roma1

Dopo tante battaglie, sofferenze e delusioni Elena non ce l’ha fatta. E quando il direttore della Asl le ha detto che Mario non è un disabile grave è crollata. “Ci volete tutte omicide e suicide!”, gli ha urlato in faccia, riferendosi al caso di una mamma di Mandas, Cagliari, che ha ucciso i suoi figli gemelli disabili e poi si è tolta la vita. “Non ce l’ho fatta, sono sbottata. E cosa ha fatto il direttore della Asl? Anziché calmarmi, rassicurarmi, ha chiamato i carabinieri. Carabinieri che sono arrivati sul posto e hanno iniziato a interrogarmi per strada”. Per l’ennesima volta Elena si è sentita abbandonata. Si è sentita – come si definisce lei stessa – “una cittadina di serie Z, se esiste una serie Z”. “Vedermi negare il sussidio è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ma non mollo. Mi sono rivolta ad un avvocato dell’Anffas, l’Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità, e agirò per vie legali”, spiega.

Dopo di me, dopo di noi

“Se mi dovesse succedere qualcosa probabilmente Mario verrebbe sbattuto in un istituto e riempito di psicofarmaci”. Elena non ce la fa più. “Sono sincera quando dico che ho pensato di ammazzarlo o ammazzarmi. Non mi fido più delle istituzioni. Non mi fido più di nessuno. L’ultimo tentativo che intendo provare è andarmene da Roma, ridimensionare il mio stile di vita, dedicandomi completamente a mio figlio”. Elena, per Mario e per tutte le famiglie che hanno una persona con disabilità, ha creato una onlus con sede nel Trieste-Salario, in via di Tor Fiorenza. Si chiama “oltrelosguardo” e ha l’obiettivo di sviluppare modelli assistenziali per il “dopo di noi”. “E’ un modo per aiutare le famiglie e le tante altre Elena e Mario che ci sono a Roma. Un modo per darci sostegno e aiutarci a vicenda durante battaglie come questa”.

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